domenica 20 gennaio 2008

Incompresi. IL BRANCO


Italia 1994. Di Marco Risi. Su dvd Cecchi Gori.

Il branco è tratto da una storia vera, purtroppo; Marco Risi ci racconta una vergognosa pagina della cronaca della provincia romana. Nei titoli di testa si possono ‘apprezzare’ le voci registrate nella segreteria telefonica di Radio Radicale quando nel 1994 restò chiusa per una settimana. Notevole scelta stilistica e formale, che ben caratterizza il background culturale che fa da sfondo alla vicenda. Luca Zingaretti e il caratterista romano Natale Tulli interpretano i due adulti che plagiano e inducono allo stupro un gruppo di giovani nullafacenti interpretati da Ricky Memphis, Giorgio Tirabassi, Salvatore Spada, Giampiero Lisarelli e Roberto Caprari. Il piano è semplice : rapire due autostoppiste tedesche, tenerle rinchiuse in una catapecchia e sfogare i propri istinti sessuali sui loro corpi indifesi. La baracca, luogo delle violenze, è oltre la provincia, oltre il bosco, oltre tutto. Il punto di vista è unicamente quello degli stupratori, realistico e glaciale. Le scelte registiche sono ciniche e crudeli, ma allo stesso tempo necessarie (non vediamo mai ciò che accade all’interno della baracca, possiamo solo sentire le urla di disperazioni delle due ragazze) per portare lo spettatore all’interno della vicenda, rendendolo impotente e passivo come un lettore di fronte alla lettura della notizia su un quotidiano. Ciò che sconvolge maggiormente non sono tanto le ripetute violenze carnali, quanto l’ignoranza e la superficialità del branco, spiazzanti, che invece di provare pietà e mostrare anche solo un briciolo di compassione preferisce giustificare le proprie nefandezze : “Del resto se la sono cercata, erano soltanto due tedesche che facevano l’autostop”. Lo sguardo di Risi è impietoso e impassibile. Non c’è tempo per il rimorso, tutto avviene velocemente, soltanto in una notte. Non c’è tempo per pensare, non c’è tempo per redimersi. E’ il ritratto di una nottata feroce, dove il lupo sbrana l’agnello, dove il branco si impossessa del singolo.
Risi è ispirato, si avvertono una conoscenza e una consapevolezza del tempo e dello spazio difficilmente riscontrabili in altri suoi lavori. Svolge un lavoro encomiabile, focalizzandosi sulla ricerca del realismo: uso del dialetto, dialoghi semplici e diretti, dinamiche comportamentali primitive, non fanno altro che accentuare questo aspetto, qualità assoluta dell’intera opera. La sua regia è supportata dall’ottima fotografia giallognola, marcia, carica di contrasti e colori sbiaditi. A fine visione si esce distrutti e sconfitti come tutti i protagonisti della pellicola, catalogabile come una sorta di rape&revenge tronco, senza soddisfazione. In definitiva un film da vedere e da far vedere, per capire cosa non c’è da capire. Apparentemente superficiale, ma assolutamente indispensabile, per raccontare un’umanità al limite. Alberto Viavattene

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