domenica 27 gennaio 2008

Io c'ero. Festival ed eventi vari. JULIETTE & THE LICKS live -Rock the Spot, Bardonecchia (TO), 19.1.2008-


Juliette & the Licks attaccano più o meno puntualmente, poco dopo le 22, l’ora prevista. L’attesa non è stata breve ma il tempo è passato, sebbene l’unico dei gruppi spalla che si sia distinto per bravura ed energia siano stati i Dufresne, molto apprezzati nel tenerci caldi e su di giri con il loro potente e martellante emo-violence.
Riusciamo, nell’intervallo che passa tra i Vanilla Sky (acclamati dai teenagers presenti; la cover di Umbrella è in effetti divertente, le altre canzoni non si può dire che abbiano lasciato il segno nella mia mente) e l’entrata in scena di lei, a conquistarci un posto in prima fila, contro le transenne: il palco è a meno di cinque metri e personalmente quello che potrei desiderare di più è solo riuscire ad imbucarmi nel camerino di lei, ma non si può avere tutto. Da quella ridotta distanza comunque sarà perfettamente in grado di leggere la scritta Juliette I love you Kiss me sulla mia manona di gomma bianca (gadget targato Fiat distribuito nella serata, n.d.r.), e tanto basta.
La prima cosa che mi passa per la mente quando Juliette salta fuori sul palco è che pensavo fosse più alta (chissà perché, poi); invece sembra quasi mingherlina, è magra e nervosa, ma tesa e piena di energia come le corde di una chitarra elettrica. Pantaloni di vernice nera muniti di ginocchiere, giubbotto rosso fuoco, capelli scarmigliati e una piuma gialla come ornamento, stile squaw indiana, è una vera rocker, poche storie. Attacca di brutto con Smash & Grab, canzone su un inseguimento con la polizia, e che di un inseguimento ha tutta la carica grezza e scomposta. La spalleggiano degnamente i Licks (due chitarre, basso, batteria), fornendole la musica di cui ha bisogno una come lei: veloce, rumorosa, dai ritmi spesso semplici e spontanei, ma che per questo si fa seguire, trascina e infonde energia. Non è certo il metal o l’hard rock classico, ma c’è ugualmente da scuotere la testa a ritmo e tenere alte le mani con le dita a corna nell’universale gesto d’amore dei rockers: Juliette se lo merita ampiamente. Si dimena e si contorce sul palco, la sua voce è quella di una ragazzina cattiva: roca e graffiante, ma con un che di dolce e quasi infantile, in fondo; mentre canta, sputa fuori i vapori di condensa nell’aria gelida. Prosegue a ritmo serrato martellandoci con le canzoni del recente Four on the floor: Sticky Honey, Hot kiss, Purgatory Blues; poi da You’re speaking my language: malinconica e commovente, I never got to tell you what I wanted to to si sente dentro e non si può fare a meno di cantarla, poi la title track dell’album, semplice e diretta. Verso metà concerto, un giro del più classico hard rock ci riporta nientemeno che al 1976 con la cover di Dirty deeds done dirt cheap degli AC/DC, rifatta abbastanza fedelmente, non sfigurerebbe accanto all’originale. Juliette ci guarda con i suoi occhi allo stesso tempo freddi e infuocati, che mandano lampi, per la gioia di noi della prima fila, mentre le mando baci a tutto spiano, e fa cantare il pubblico in coro per introdurre So Amazing. Poi i Licks mollano gli strumenti e si mettono tutti insieme a suonare la batteria, tirando fuori un ritmo con un che di tribale. Si vede che si divertono anche loro come noi: fondamentale, questo, per un vero rocker.
Poco dopo le 23 il concerto finisce (tempi tecnici per tornare alla stazione con le navette, perchè il treno non ci molli al freddo a Bardonecchia), Juliette e i Licks ci salutano inchinandosi come a teatro. Unico rimpianto (ma del tutto personale): che siano mancate canzoni lente e commoventi come Long road out of here o This I know, che avrebbero visto una buona alzata di accendini e avrebbero dato qualche minuto di respiro a noi schiacciati in prima fila. Ma per il resto, è davvero valsa la pena di spostarsi fin lassù e di passare un po’ di ore al freddo per farsi riscaldare da una Juliette
so amazing, yeah!                                                        Francesco De Renzis

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