domenica 16 marzo 2008

The book runner. LA CONFRATERNITA DELL'UVA



Quanta letteratura di peso nasce da un rapporto contrastato tra un autore e la propria figura paterna? Vengono in mente Franz Kafka, il Giuseppe Berto de Il male oscuro (capolavoro su cui sarebbe il caso di tornare); poi c’è John Fante, scrittore relativamente noto, ma forse meno di quanto meriterebbe. Perché questo americano di genitori italiani era uno scrittore fuoriclasse, riconosciuto come tale solo nei suoi ultimi anni. In ogni caso, ora c’è un Meridiano Mondadori a lui consacrato. Il romanzo in questione, già pubblicato come La confraternita del Chianti, nella corrente edizione Einaudi è preceduto da una prefazione un po’ stucchevole di Vinicio Capossela e da una più utile contestualizzazione dell’opera. Si diceva, il padre: che faccia di cognome Bandini o Molise, a seconda delle due “saghe” portate avanti dall’autore, resta una figura centrale ed incombente per i protagonisti, così come lo è stata per Fante stesso. Henry Molise, scrittore di mezza età, riceve una telefonata da uno dei fratelli: c’è aria di burrasca tra i loro anziani genitori ed è meglio se prende un aereo e si fa vivo. In questo modo, torna nella cittadina dove è cresciuto, San Elmo: il tardivo divorzio si rivelerà un bluff, ma Henry tornerà ad avere a che fare con le premure della madre e soprattutto col padre Nick (stesso nome del vero padre di Fante…). Quest’ultimo è (ed è stato) una persona poco amabile: “Non c’era nessuno che potesse avere a che fare con lui senza litigare”. Donnaiolo, fissato col suo lavoro di costruttore edile nel quale avrebbe voluto coinvolgere anche i figli, giocatore incapace e quindi perdi-soldi e dulcis in fundo praticamente alcoolizzato, coi suoi pochi amici compagni di bevute (da cui il titolo). Ma nonostante l’avversione quasi fisica, Henry sarà come bloccato a San Elmo e “costretto” ad un lavoro con lui.
Nel romanzo, insomma, c’è un autobiografismo strisciante, col quale Fante rende in un certo senso omaggio a questo padre che, nella realtà, se ne era andato ormai da anni. Le figure di questi due genitori sono descritte, nei loro comportamenti e fisse, in modo impagabile, spietato ed insieme affettuoso; anche la repulsione che il protagonista prova per l’anziano manovale non è un sentimento monolitico, infatti si aprirà ad una sorta di accettazione. La scrittura di Fante d’altronde è vivace, ispirata e riesce a rendere bene, per mezzo dell’ironia, le sensazioni di Henry in questa sua dolceamara esperienza, un viaggio con il quale torna agli odori di casa, alla irresistibile cucina italiana della madre, ad avere a che fare con i fratelli e, per l’ultima volta, con l’intrattabilità del padre. La confraternita dell’uva è uno di quei libri leggendo i quali si capisce la stoffa dell’autore, col quale ci si congratula idealmente, e che possono riconciliare col piacere della lettura.                                          Alessio Vacchi

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