domenica 30 marzo 2008

Focus on. Chuck Norris: MASSACRO A SAN FRANCISCO


Di William Lowe. Su dvd Elle U.
Warning
: il seguente pezzo contiene anticipazioni sulla trama e sul finale che possono compromettere la visione a chi non ha ancora visto il film.

Dopo una piccola parte -istruttore di karate- in The student teachers, la tappa successiva della carriera di Norris è questa. Purtroppo la copia più facilmente reperibile è penosa: nel giusto formato panoramico sui titoli di testa e sul finale ma per il resto allargata a schermo pieno. Come se non bastasse, ridoppiata in italiano, con voci palesemente molto più recenti di quanto dovrebbero essere e lasciando, nei momenti non dialogati, i rumori -quelli delle mazzate i più rilevati- originari, creando un mix sonoro che aumenta l’aria da telefilm del tutto. Comunque: a due anni da L’urlo di Chen…, Chuck è ancora lontano da come lo si conoscerà nei lavori americani. Ancora nel cast di una produzione hongkonghese -meglio, una coproduzione con gli Usa della prolifica Golden Harvest-, non ancora difensore del “bene” né protagonista, bensì l’antagonista massimo della vicenda. Il film è una cosa vedibile, senza nulla da segnalare a livello di messinscena, ma neppure di scrittura. Un corrivo film di arti marziali su cui si innesta un po’ di blaxploitation, compreso il commento sonoro funkeggiante.
Vediamo un agente “yellow faced” -come recita un aka del titolo- perdere il posto dopo aver esagerato uccidendo un baluba della gang che stava tentando di dare una lezione al suo collega nero -e dai capelli voluminosi molto 70s-. Degradato a fare il cameriere, ha così il suo primo incontro, nel ristorante, col boss interpretato da Norris, che come presentazione gli spegne un sigaro sulla mano. “Quello è uno molto pericoloso”, viene avvertito l’ex agente. Proponendogli di lavorare per lui, Norris glielo fa capire ulteriormente: “Per me ci sono solo due tipi di persone: quelle che obbediscono e quelle che muoiono”. Nel frattempo, i razzisti capitano della polizia e relativo aiutante maltrattano ed incarcerano un innocente signore cinese, per una rapina la cui responsabilità è del boss. Considerato che nella faccenda è stato ucciso il suo collega nero, l’ex agente Wong, col suo maglioncino rosso, continua un’indagine personale, cercando i colpevoli e menando quando può. Ritroviamo Chuck in una scena dimostrativa nella quale si allena open air spezzando con gli arti inferiori tavolette di legno tenute dai suoi scagnozzi. Poi mostra la sua stronzaggine tentando di violentare la donna del fratello nonché figlia del tizio imprigionato. Il fratello, mettendolo di fronte alle sue colpe, si becca le sue mazzate e non è chiaro se resti vivo. Siamo vicini alla resa dei conti. Il tranquillo boss si spoglia, mostrando la sua situazione pilifera non gradevolissima, poi riceve Wong in vestaglia, fumando un sigaro. “Penso che dovrò arrestarti”, gli dice infine l’ex agente (notate niente di strano?). Dopodichè, prima lo lascia picchiarsi con gli scagnozzi, godendosi la scena seduto e mangiando una mela. Wong utilizza una vanga, una delle rare trovate nelle scene d’azione del film. Poi, vedendo che quelli non ce la fanno, Chuck si toglie la vestaglia e provvede personalmente. Dopo essere caduto nella fontana al ralenti, il boss vede l’avversario, per non essere da meno, spogliarsi. In questi minuti si ha quasi una sensazione di deja-vu rispetto alle scene clou del film di Bruce Lee, acuita dal fatto che anche stavolta all’astro nascente del cinema action vada male. Viene, però, portato via ancora vivo -e pronto a nuove avventure-.                                  Alessio Vacchi

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