domenica 21 settembre 2008

Incompresi. Comici allo sbaraglio: FESTIVAL


Italia 1996.

L'Ezio Greggio de Il papà di Giovanna è solo l'ultima espressione di un vizio del prolifico Pupi Avati, quello di utilizzare attori al di fuori del loro ambito abituale. Cosa che gli è riuscita alla grande negli anni 80 con Diego Abatantuono; altri esempi degli ultimi anni sono Neri Marcorè e Katia Ricciarelli. Questo film con Cipollino Boldi ha avuto però un riscontro scarso e rimane un episodio a sé nella carriera dell'attore, qui in una rarissima parte seria. Con un'idea semplice e scaltra, Avati gli fa interpretare un attore, Franco Melis, comico ma serio e poco fortunato nella vita, che ha avuto la sua fortuna negli anni 80 e che ora ha interpretato un film drammatico. Come se cercasse di mettere a nudo la vulnerabilità dell'essere attore e del suo attore, mettendolo a contatto con la paura di essere sorpassati dal tempo e da altri (“Nel mio teatro avrò Iacchetti”, gli viene detto). L'ispirazione sta in Walter Chiari, che nel 1986 andò a Venezia con Romance, dopo anni di assenza dagli schermi. Il film di Melis, Ritorno dal buio (di cui si vedono alcuni momenti, girati in modo ingenuo), viene con sua sorpresa selezionato in concorso al festival di Venezia. Così lui parte per il lido insieme al suo manager (Gianni Cavina), ad una ragazza straniera, che gli sta opportunisticamente attaccata, al regista. In un continuo di pessimismo e note di speranza, attenderà la proiezione del film e spererà in una Coppa Volpi come miglior attore. Colpo di scena finale... La rappresentazione del festival di Venezia, con scene girate durante la mostra del 1995, è acida. Per Melis è luogo che può rappresentare una vaga possibilità di rinascita o una fugace illusione. Il suo nome durante il film ricorre sovente: viene citato, chiamato, pronunciato, stampato sui giornali, ma i giornalisti non lo ascoltano e corrono dai più famosi, mentre alla conferenza stampa si fanno domande senza aver visto il suo film. Ma tra i camei di gente “di cinema” nella parte di sé stessa (Vincenzo Mollica, Gian Luigi Rondi) c'è anche quello di Gillo Pontecorvo, allora direttore della mostra, mentre il suo collaboratore Giorgio Gosetti figura tra i collaboratori alla sceneggiatura.
Avati gira senza voli, ma dalla parte del film sta un montaggio netto che dà una certa sveltezza al film, unito a una sceneggiatura nella quale non si sprecano parole e che mette a segno delle battute. A funzionare di meno purtroppo è Boldi. A parte un paio di momenti in cui fa lo scemo al suo solito (sul palco all'inzio, in auto), la sua recitazione è settata su un tono mesto che è in linea con lo spirito malinconico di Avati che lo dirige e quindi del film, ma risulta monocorde e limitata e non aiuta la pellicola a fare uno scatto qualitativo in più. Film di un fatalismo un po' programmatico, beffardo, Festival non è brutto ma rischia quindi di dire poco a chi si creasse particolari aspettative riguardo Boldi. Margaret Mazzantini interpreta l'ex compagna di Boldi; curiosamente il marito nella vita Sergio Castellitto viene citato come attore in un immaginario film della Mostra, a fianco di Nicole Kidman e Totò Cascio (il bambino di Nuovo cinema Paradiso, per chiarire).
Alessio Vacchi

Nessun commento: