domenica 12 ottobre 2008

Comunicazioni di servizio. VOCI


La vera esperienza cinematografica è la visione in sala, dicono i saggi. Ok: vedere al cinema e vedere sullo schermo del proprio computer sono due cose diverse. Ma c'è qualcosa che frena dal fare più spesso questa esperienza. Valga un esempio solo: sta per uscire Rachel getting married di Jonathan Demme. Apprezzato a Venezia, un film di quelli che “stanno” sui personaggi, sugli attori. Che interesse dovrei avere a vederlo ricoperto da uno strato di doppiaggio? Il fatto è che la sana abitudine di selezionare la lingua originale sul menù dei dvd rende poi più difficile tornare alla vecchia, meno sana abitudine di ascoltare il cinema doppiato in italiano. Doppiato come? Con voci mediocri ed un'atmosfera sonora che non è più quella originale, è appiattita. E adattato come? Con cambi arbitrari di battute. Non sempre, ma la questione resta.
E' da snob, è da puristi porsi questo problema? (Certo, è già tanto se alcuni utenti di videoteca non defecano sui dischi che noleggiano, ma da chi legge questo blog mi aspetto un po' di sensibilità in più). Attenzione: non è odio per la propria lingua. Penso, leggo, scrivo in italiano e mi va bene così. Ma è una più semplice questione di voler fruire al meglio del cinema, per una questione di rispetto verso sé stessi oltre che dell'opera, e di essere in condizione di poter dare un giudizio più netto su quanto si è visto. Perchè se un attore non convince, può essere colpa del doppiaggio. “I nostri doppiatori sono i migliori del mondo” è una manfrina che spesso si sente. Può darsi, ma da un lato, ascoltate oggi, le colonne italiane di cinema dagli anni '50 in giù sono spesso datate, di un impostato che poteva adattarsi ad un cinema “quadrato” come si faceva una volta ma non è invecchiato molto bene; dall'altro lato questo primato, se è vero oggi, dà di che preoccuparsi, quando già sentendo dei trailers radiofonici le orecchie si ammosciano.
Per il grosso pubblico è condizione scontata e necessaria che un film sia doppiato, per pensare di vederlo, salvo casi eccezionali come gli ultimi film da regista di Mel Gibson. Il pubblico è abituato così e vuole capire, e capire tutto. E allora ecco l'edizione italiana di Sicko di Michael Moore, doppiato da cima a fondo, voci di politici e di persone comuni comprese, come fosse un servizione di Ballarò o Annozero. E se a doppiare ci sono dei personaggi tv o calciatori che pare sappiano appena parlare, tantomeglio, diventa una cosa divertente (ogni riferimento agli scempi operati su due film di Stephen Chow non è casuale). Chi non ama il doppiaggio, che fa? Qualche cinefilo sceglie la formula: visione a scrocco in originale + al cinema doppiata (oppure cinema + in dvd più avanti), qualche altro scarica a tappeto senza incertezze. Il prezzo da pagare per voler essere onesti, per non scaricare di brutto da eMule o i torrents, e voler vedere al cinema un film straniero, è doverlo vedere doppiato. Se a qualcuno sembrano menate, provi a sentire il film/telefilm preferito doppiato in una lingua che non sia la nostra. Qualche dubbio potrebbe istillarsi in mente riguardo il doppiaggio.
Ci vorrebbe qualche sala in più che osasse non dico certo una programmazione, ma una proiezione ogni tot sottotitolata. A Torino lo fanno il cinema Massimo (e la sala, n. b., si riempie; anche se la programmazione è spesso da “seconda visione”, arriva quasi a sovrapporsi all'uscita del dato film in dvd) e il Pathè (dove però le pellicole mancano di sottotitoli). Senza augurarsi la soppressione di una categoria professionale... ma almeno invitarla a far meglio, e nella speranza di avere qualche possibilità in più di scelta.
Alessio Vacchi


Nella foto, Fanny Brice, dalla Library of American Broadcasting.

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