domenica 22 febbraio 2009

Focus on. Chuck Norris: UNA MAGNUM PER McQUADE


Tit. or. Lone Wolf McQuade. Usa 1983. Di Steve Carver. Su dvd Mgm.
Warning: il seguente pezzo contiene anticipazioni sulla trama e sul finale che possono compromettere la visione a chi non conosce il film ed intende vederlo.

Il ranger McQuade è alle prese con un losco uomo d'affari, Wilkes (David Carradine), che ha messo insieme un arsenale di armi rubate. Come prevedibile, sarà coinvolto a livello personale: Wilkes l'ha preso di mira, ha eliminato il fidanzato della figlia in quanto testimone scomodo, poi il suo cane, e gli rapisce la figlia...
Lone Wolf McQuade, oltre ad essere un film accettabile e ben confezionato, è un testo filmico, per usare termini appropriati, più "spesso" e interessante del solito per questa sezione, sia per quel che riguarda il personaggio di Norris, sia per caratteristiche di messinscena. Prima di tutto, l'attore interpreta qui un Texas Ranger, e scusate se è poco. In secondo luogo, è difficile che la prima sequenza non desti l'attenzione: il western è evocato talmente, tra filmico e profilmico, da suscitare quasi un sorriso. Il volto stropicciato (ben più del consueto) di Norris-McQuade in primo piano, la sua silhouette in campo lungo su una rupe, su cui poi lo vediamo in pieno controluce; cavalli che corrono alzando la sabbia; brutti ceffi sudati come cattivi. E soprattutto, la musica di Francesco De Masi: il compositore romano, storico nome del nostro cinema di genere, compone per il film una partitura piuttosto bella, ma che starebbe perfettamente in un nostro spaghetti western dei 60s. Persin eccessiva, per il film, nella sua ariosità: tanto che sentirla su alcune scene, come quella di McQuade che scherza e amoreggia con la sua donna, è straniante. Altri elementi western-style citabili sono l'entrata in scena con sigaro in bocca di Carradine, e l'allenamento sulle sagome, nella prima parte e più avanti, per prepararsi alla rivincita dopo lo scacco.
Comunque, dopo l'attacco, passiamo a un'ambientazione urbana e si delinea meglio il protagonista. McQuade è un tutore della legge solitario: se non fosse chiaro, ecco le immagini di un lupo sui titoli di testa. E' in rotta col suo superiore, che lo rimprovera perche non è conciato come dovrebbe esserlo un ranger -sporco, barbuto, con una fascia in testa-. Banale constatare che in questo modo McQuade va a inserirsi tra i tanti "lupi solitari", appunto, del cinema d'azione, commissari dei poliziotteschi italiani compresi. Ha moglie e figlia, ma vive da solo rusticamente. Quando gli vengono presentati Carradine e la sua donna, a lei basta uno sguardo per capire che ha di fronte un vero uomo. La convivenza tra i due rompe la solitudine di lui, ma non è quella la natura di uno come McQuade, che persino alla fine privilegerà il suo ruolo di tutore della legge al suo essere (di nuovo) padre di famiglia.
Sembra profilarsi ad un certo punto la strada del buddy-movie investigativo: a McQuade viene affiancato un giovane agente ispanico, ma lui lo respinge spaventandolo. Più avanti, accetterà la collaborazione sua e dell'amico capitano in pensione, per poi inserirsi in un terzetto d'azione composto da lui, il giovane e un altro agente Fbi nero. Insomma, avere con sè delle persone può essere cosa necessaria; anche se, come prevedibile, si batterà alfine da solo contro un David Carradine in maglione a losanghe (sic: il suo personaggio è, anche nel vestiario "signorile", differente da McQuade). Prima all'interno di due mezzi cingolati, poi a mani nude. Non manca il momento d'incazzo consueto, anzi due, con Chuck che si arrabbia davvero dopo che Carradine ha dato una manata in faccia alla figlia e dopo che ha involontariamente ucciso la donna di entrambi. Poco prima, un altro topos del suo cinema è l'attacco notturno alla base dei nemici, che se da un lato fallisce, dall'altro regala un momento superomistico notevole: McQuade, sepolto vivo all'interno del suo truck, dando gas a palla tramite un suo apparecchietto riesce a uscire dalla terra, "risorgendo" e mettendo sotto qualcuno. Per rianimarsi, berrà poi della birra; forse gli spinaci di Braccio di Ferro sono roba da deboli, per Chuck. Da citare, infine, la battuta che rivolge a un boss nano, complice di Wilkes: "I'm gonna have your little ass".
Alessio Vacchi


Memorabilia. L'AMICO SCONOSCIUTO


Un tempo, capitava che si legassero alle uscite dei film iniziative creative di intrattenimento degli spettatori, con giochi e premi. All'anteprima di questo thriller del 1978, gli spettatori dovevano indovinarne il finale. E' curioso immaginare il film che si interrompe e tutta una sala intenta a scrivere, spremendosi le meningi oppure basandosi sul "ho capito tutto" tipico di alcuni spettatori. Difficile, con le informazioni circolanti via internet, riproporre una cosa analoga oggi; inoltre, il film deriva da un romanzo...
Alessio Vacchi

domenica 15 febbraio 2009

Comunicazioni di servizio. PERPLESSITA'


Chi scrive crede che in questi giorni il paese stia raggiungendo il suo punto più basso ipotizzabile in una democrazia. Che la gestione del caso Englaro, la norma blocca intercettazioni, il bavaglino alla stampa riguardo le cronache processuali, siano cose che si commentino da sole -e si augura che appunto, vengano considerate per quel che sono, senza il bisogno di sentire difese d'ufficio a riguardo. Ma rimanendo al mondo virtuale, l'ultima trovata italiana è l'emendamento proposto dal senatore D'Alia, e approvato, riguardo la possibilità di chiudere, oscurare siti internet per reati di opinione senza passare (ovviamente...) per una sentenza giuridica. La mia opinione, sperando che mi sia consentito esprimerla, è che sia qualcosa di goffo e potenzialmente molto pericoloso, e che seguire la strada cinese per cercare di controllare internet sia qualcosa da non approvare. In ogni caso, qui sopra trovate un'intervista realizzata dal blog Piovono rane al senatore.
Alessio Vacchi

Incompresi. JACKPOT


Italia 1992. Di Mario Orfini.
Warning: il seguente pezzo contiene anticipazioni sulla trama e sul finale che possono compromettere la visione a chi non conosce il film ed intende vederlo.

A cinque anni di distanza da Il burbero, Adriano Celentano torna al cinema per l'ultima volta. Sempre per le feste natalizie, ma in un progetto slegato dai suoi successi degli anni 80 e da Castellano & Pipolo. Contrariamente a quei film, stavolta il riscontro è terrificante (115 milioni di lire di incasso). Ma per quanto poco riuscito, Jackpot può meritarsi qualche considerazione. I credits dicono di un film con presenze di peso: nel cast trovano posto un mito come Cristopher Lee e una vecchia gloria come Carroll Baker, la fotografia è di Luciano Tovoli, il montaggio del premio Oscar Pietro Scalia, i costumi del nominato agli Oscar Maurizio Millenotti, alle musiche c'è anche Giorgio Moroder. Invero, sono sprecati per questa storiella. Un gruppo di bambini geni lavora in una fondazione (alla faccia della gerontocrazia!), capeggiata da una signora (la Baker) che vuole ritornare ad essere giovane. Cercano così il metodo perfetto per fare ringiovanire, sperimentando su una cavia umana virtuale che da vecchia diventa giovane (altro che Benjamin Button...) e ipotizzando un mondo popolato da bambini. Celentano diventa il loro "maestro di idiozia": capitato lì per caso, viene assunto per alleggerire le menti troppo concentrate dei bambini. Riesce a insegnar loro qualcosa, ma ci sarà una amara scoperta che rimetterà in discussione il progetto della signora.
Le tematiche che emergono sono quelle della vecchiaia, dell'utopia di un mondo perfetto, dell'utilizzo della scienza, della tecnologia virtuale (e qui il film risulta inevitabilmente datato). Ma anche, per contro e più celentanamente, del seguire una vita naturale, a contatto col mondo esterno: i suoi insegnamenti ai bambini sono espressi in sequenze infantilmente stucchevoli, che abbassano il film ad un target molto giovane (nonostante occasionali volgarità). Non è la sola cosa stucchevole: lo sono anche le smorfie e la mimica del personaggio di Swift, uomo virtuale, che vive e comunica tramite uno schermo azzurrato. Anche la voce di Totò Cascio, al limite della sua popolarità, non è una delizia, ma passiamoci sopra, perchè i piccoli attori non fanno una cattiva figura.
Se per larga parte il film pare involuto, e dopo aver messo le sue carte in tavola si dipana senza la minima tensione narrativa, nell'ultima parte compie uno scarto di drammatizzazione e ci conduce al mondo virtuale creato dai piccoli geni. Qui c'è qualche colpo di scena, il cui maggiore è lo scoprire che si tratta non di un'utopia ma di una distopia: i bambini, lasciati a sè stessi, sono liberi di essere carogne e, come una grossa gang, stanno schierati su un'impalcatura che ricorda quella della trasmissione di Alba Parietti Macao. Ergo: la scienza non deve superare certi limiti naturali, bisogna accettare la vita: non vivere rinchiusi a studiare e non sottrarsi all'invecchiamento. Mentre Lee ha una piccola parte di servitore, Celentano ha dalla sua qualche momento di exploit danzereccio e mimico, compreso un ballo in coppia che non sarà a livello di quello con Charlotte Rampling in Yuppi du (film recentemente sconciato da lui stesso, tra parentesi), ma può rendere Jackpot perlomeno consigliabile ai suoi fans. Una frase rimarchevole: "L'amore è una questione di udito: ti parlo, ti parlo e tu non mi senti...".
Alessio Vacchi

Focus on. Chuck Norris: VENDETTA AD HONG KONG


Tit. or.: Forced Vengeance. Usa 1982. Di James Fargo. Su dvd Warner (regione 1).
Warning: il seguente pezzo contiene anticipazioni sulla trama e sul finale che possono compromettere la visione a chi non conosce il film ed intende vederlo.

Chuck Norris ha a di nuovo a che fare con l'est, per la precisione con Hong Kong. Josh, questo il nome del protagonista, è addetto alla sicurezza in un casinò. Un boss offre la sua protezione al proprietario e al relativo padre, che gli sbatte in faccia la sua contrarietà. Padre e figlio vengono ovviamente eliminati, mentre scatta la caccia non solo a Josh, ma anche alla sua donna e alla sorella del proprietario.
Nell'elegante (o quasi) scena di apertura vediamo le sagome nere di Norris e un ignoto che si battono: è una scena che verrà, qui anticipata al ralenti, mentre sui titoli di coda sono montati pezzi delle azioni fisiche dell'attore nel film. Sui titoli di testa, ecco la voce fuori campo dell'attore -che tornerà sul finale-, che tra l'altro cerca di dire delle cose su Hong Kong: città del fare soldi velocemente, di sopravvissuti, "it's like a slap in the face that makes you feel good". Uno dei posti che emergono della città è il mercato portuale, in cui vediamo Norris aggirarsi e contrattare -e non manca un tocco di musichetta "locale".
Un aspetto relativamente interessante è costituito dalla rete che viene tessuta in città intorno al fuggiasco ed alle due donne che scorta: il potere del boss è tale da porre ad ogni angolo, in agguato, un complice pronto a fermarli, rendendo così la fuga più difficile e serrata. Le due donne paiono messe al sicuro, ma neppure l'aiuto di un nerboruto amico nero riuscirà ad evitare che un bestione baffuto violenti a morte la donna di Josh. Il quale ora si incazza duro. Vedendo soccombere i suoi scagnozzi, il boss-affarista si batterà da solo con Norris, teorizzando esplicitamente che certe cose è meglio farle di persona; ma lo scontro finale sarà (similarmente che in Triade chiama Canale 6) col nemico più grosso e bastardo. Chuck, provocato, si avventa su di lui (al ralenti, of course) e il bestione finisce male. La violenza raggiunge picchi più alti del solito: questi muore decapitato da un vetro, il suo boss si impicca involontariamente, mentre mette a disagio la vana difesa della donna di Josh dallo stupro che sta per subire. Lo stesso Chuck, oltre agli usuali calci, usa qualche volta una pistola, e per estorcere un'informazione minaccia di bruciare vivo l'amante di un tizio.
Il suo personaggio compie un percorso bizzarro: all'inizio lo vediamo menare alla grande lo scagnozzo di un tizio da cui è andato per riscuotere dei soldi dovuti, ma poco dopo si impietosisce perchè il suo padrone licenzia e fa deridere un croupier che ha rubato delle fiches, per poi arrabbiarsi in modo definitivo, indossando la vecchia divisa militare, dopo la morte della sua donna. Da segnalare poi un altro momento ricorrente del cinema di Norris: un suo flashback, in questo caso riguardante un momento sereno passato coi suoi amici-datori di lavoro. Se la confezione è non più che professionale, bisogna però dire che tra i film di Norris finora considerati questo è uno dei più semplici, forti e "caricanti". Bello è un'altra cosa, tuttavia dovendo scegliere...
Alessio Vacchi

domenica 8 febbraio 2009

La youtubata. PIZZA-LA


Aggiornamento scarno questa settimana, ma spero compensato dalla simpatia di questo spot giapponese, che propone un simpatico motivetto su cui ballano gli ingredienti della pizza.
Alessio Vacchi

domenica 1 febbraio 2009

Tra pagina e schermo. THE MIST


Usa 2007. Su dvd Medusa, a noleggio dal 4/3.
Warning
: il seguente pezzo contiene anticipazioni sulla trama e sul finale che possono compromettere la visione a chi non conosce il film ed intende vederlo.

Nell’esporre la genesi della novella The Mist, Stephen King narra di averla concepita come uno di quei vecchi fanta-horror in b/n con mostri giganti, in voga negli anni 50. Il che dà un assaggio di quanto il regista Frank Darabont ami mantenersi fedele alla narrativa del Re: l’edizione dvd Usa del film, infatti, presenta sia la versione a colori che quella virata in bianco e nero e originariamente pensata per i fans. Del resto, The Mist è quantomai attento a rispettare lo spirito di fondo del racconto ispiratore: chi ha amato i personaggi sulla carta li troverà riproposti in maniera ammirevolmente identica, calati nelle stesse atmosfere claustrofobiche che rendono novella e film decisamente debitori del cinema fantastico di John Carpenter. Il tema dell’assedio, la medesima capacità di dosare le atmosfere dall’inquietante incipit all’esplosione dell’orrore in tutta la sua viscerale grandiosità; e naturalmente analoga concezione di un protagonista che nella sua rurale e virile semplicità incarna l’ideale dell’uomo di frontiera americano, reso celebre da tanto cinema western. A ben vedere, lo spunto di partenza ricorda parecchio un classico carpenteriano, intitolato guardacaso The Fog: la minaccia letale si nasconde in un banco di nebbia che tutto avvolge, e uno sparuto gruppo di superstiti trova rifugio in un ambiente circoscritto dove lottare per la sopravvivenza. All’iniziale gusto per le inquietudini che nascono dalla percezione di una minaccia invisibile si sostituirà ben presto il raccapriccio urlato del grand guignol, quando i mostri assetati di sangue emergeranno dalla nebbia; e qui viene in mente un altro classico di Carpenter, The Thing, per l’efficacia delle invenzioni infernali che si snodano sotto lo sguardo orripilato e affascinato dello spettatore. Tentacoli-vampiro, insetti giganti e antropofagi, enormi aracnidi dal morso letale, mutilazioni, sangue a gogò; niente ci viene risparmiato, unendo alle invenzioni gore la violenza che si scatena fra gli assediati, quando alcuni di loro accettano la guida di una fanatica religiosa che invoca sacrifici per placare l’ira delle Tenebre.
Viene in mente ovviamente anche il Lovecraft del racconto From Beyond (portato sullo schermo da Stuart Gordon negli anni 80) nel riprendere l’idea che gli abominii affrontati dalla comunità di un villaggio del Maine provengano da una dimensione parallela, le cui porte probabilmente sono state schiuse da un esperimento condotto dall’esercito (e qui Darabont rinuncia ad ogni ambiguità, facendo confessare da uno dei militari rifugiatisi nel supermarket quella verità che nel racconto era solo intuita); ma la svolta finale è completamente diversa da quella dell’ending letterario concepito da King. Viene in mente il pessimismo del finale originariamente pensato (e mai girato) da George Romero per Dawn Of The Dead, con gli unici due scampati al massacro che preferivano togliersi la vita; com’è noto zio George optò per una chiusa all’insegna dell’Ignoto ma anche della speranza, con Fran e Peter che si allontanano in elicottero verso un destino a loro oscuro, con i morti viventi ormai dilaganti sul pianeta. Che a ben vedere era il finale del racconto kinghiano, con protagonista, figlio e compagni di sventura che si allontanano in auto inseguendo una richiesta di soccorso captata per radio, in un mondo ormai preda dei mostri. Invece il film colpisce lo spettatore allo stomaco con un finale agghiacciante, all’insegna della disperazione, in cui il personaggio principale si dannerà l’anima con un gesto estremo… che forse si rivelerà inutile, dato che l’esercito è dietro l’angolo e pronto ad intervenire contro la minaccia aliena. Cosa avrà voluto dirci Darabont? Forse che l’umanità è da tempo scivolata nella follia autodistruttiva? Follia che si manifesta in tanti modi: da un esperimento scientifico che risveglia orrori al fanatismo di chi cede all’irrazionalità e all’idolatria pagana per trovare conforto di fronte ad un pericolo apparentemente inarrestabile; culminando in un gesto di autoannientamento tanto disperato quanto inaspettato, dato che proviene dall’eroe apparentemente ragionevole della vicenda in cui lo spettatore riponeva fiducia. E' forse imparentata con la medesima follia la speranza che basti l’esercito a rimettere tutto in ordine: i responsabili del disastro ora pretenderebbero di fornire una cura adatta? Medico, cura te stesso.
Corrado Artale

The freak show. MUCHA SANGRE


Tanto per variare, lasciamo stare un attimo le produzioni home-video americane di fine anni ’80 e spostiamoci in Spagna nell’Anno di Grazia 2002. Ma non temete, giacchè, come dice Jena Plissken in Fuga da Los Angeles, “Più le cose cambiano, più restano le stesse”. Questo perché Mucha Sangre (letteralmente, “Molto sangue”) di Pepe de las Heras è un film mediocre, nonostante le tenti tutte per accattivarsi gli appassionati di pellicole horror-splatter-trash-e-chi-più-ne-ha-più-ne-metta.
Protagonisti della vicenda sono due galeotti freschi di evasione (interpretati da tali Rodolfo Sancho e Txema Sandoval) che, accompagnati da una chica bella e tosta (Isabel De Toro), si ritrovano contrapposti ad una banda di invasori alieni sodomiti capitanati nientemeno che da Paul Naschy (aka Jacinto Molina), storico interprete di pellicole di genere ispaniche. La sceneggiatura, scritta dallo stesso Heras in coppia con un certo Ramon Heres, tenta la carta facile del comico-grottesco arricchita dalle classiche influenze fanzinare (su tutti, il primo Peter Jackson), ma il regista non è Alex de la Iglesia ed il gioco stanca presto, soprattutto a causa del poco ritmo e, incredibilmente, dello scarso livello di splatter: infatti, nonostante il titolo e le premesse, gli effetti speciali marcano visita per la maggior parte del tempo e deludono nelle poche scene che li riguardano. Alcune trovate (come il fatto che agli alieni bisogna sparare nelle balle per ucciderli) possono strappare qualche sorriso, ma sono robetta. Di non facile reperibilità, Mucha Sangre veniva trasmesso con doppiaggio italiano su Sky Cinema alcuni anni fa ma al momento, non risulta disponibile in home-video. Poco male.
Emiliano Ranzani

Memorabilia. FLETCH UN COLPO DA PRIMA PAGINA



Chevy Chase, attore comico esploso in America col Saturday Night Live, non è riuscito a diventare popolare in Italia. La serie di film National Lampoon la conoscono in quattro gatti, e il dittico di commedie con protagonista il detective Fletch tantomeno. La stroncatura riportata sul Mereghetti del secondo Fletch-movie suona come una pietra tombale: "Chevy Chase ce la mette tutta, dando fondo al suo campionario di tic, travestimenti e mossette alla Jerry Lewis. Purtroppo per lui, ridono solo gli americani". Ciò nonostante, Fletch-Un colpo da prima pagina aveva dalla sua dei flani simpatici, fumettistici -la battuta sulla biancheria intima è tradotta dall'originale-. Da segnalare anche la locandina del successivo Fletch-Cronista d'assalto, che parodizza quella di Via col vento.
Alessio Vacchi