domenica 29 marzo 2009

La youtubata. FRANCO E CICCIOLINA


Franco Franchi e Cicciolina, possibile? Sì; uno dei motivi per amare il nostro mondo dello spettacolo degli anni addietro, o quantomeno per esserne incuriositi. Causa problemi tecnici, l'aggiornamento di questa settimana è scarno, ma spero gradirete questa perla musicale che vede uniti un grande comico italiano (nella parte del lupo) e una futura pornoattrice (nella parte di Cappuccetto Rosso), allora solo attrice oltre che già interprete di amene canzoncine. Non fate caso alle immagini ed... enjoy the music.
Alessio Vacchi

domenica 22 marzo 2009

Incompresi. Comici allo sbaraglio: BURRO


Italia 1989. Su dvd Medusa.

"Ci sono state [...] occasioni in cui ho tirato fuori la testa e mi sono impegnato in progetti in cui credevo. Burro, Sono fotogenico, sono film che sono contento di aver fatto anche se poi non hanno dato grandi risultati" (da un'intervista a Pozzetto pubblicata su http://www.wlaciccia.it/famosi/pozzetto.php). Diretto da José María Sánchez, con cui Pozzetto lavorerà ancora, Burro è il film più ambizioso interpretato dall'attore ed anche uno dei più sfortunati: incassi modesti allora, sconosciuto ai più oggi. Burro è un adulto-ragazzo: un semplice, che vive ancora con la madre, lavora in un cinema ed è innamorato di un'attrice, Katharin (Elena Sofia Ricci). Anche se la mamma lo ammonisce ("Le attrici sono tutte uguali!"), lui crede a quel che vede sul grande schermo, pensa che lei lo guardi e quando si reca a vedere il suo nuovo film, Un fiore nero pieno di profumo, si tira a lucido come andasse ad un appuntamento -idea carina, questa-. Promoziona anche il film con manifesto e megafono girando su un'Ape. Ma questa strada metacinematografica ad un certo punto è abbandonata dal film, che osa e sbanda. Burro, deluso dalla sua attrice, pensa di intraprendere altri mestieri, incontra altre donne che hanno lo stesso volto di Katharin. Una ragazza bizzarra, spirituale con cui dà vita ad una lunga sequenza lirica in cima ad un cocuzzolo, poi una zingara che pare promettergli finalmente un incontro sessuale, in realtà una trappola in cui viene maltrattato dal marito zingarone. Alcuni episodi del passato vengono rimembrati, con lui adulto che banalmente si vede da bambino; ed al termine, si avvererà una curiosa profezia della zingara, che legherà Burro al padre.
Il film è scritto da Tonino Guerra, e si sente. L'ambientazione è nella provincia romagnola, i toni sono surreali, poetici, metafisici, amarcord e quant'altro. C'è l'ubriaco arrabbiato del paese e c'è la presenza della religione, in due momenti divertenti: Burro che mangia in piatti il cui fondo ritrae il papa e che mette via l'ostia senza ingoiarla ("Questa la prendo dopo al bar, magari con qualcosa di forte") per ricattare il sacerdote e farsi dare le lire in cambio, per andare con la zingara. Ma non si tratta di un film riuscito ed il problema non è tanto Pozzetto, che fa quel che può e ispira anche simpatia, bensì l'atmosfera del tutto: il film ha una lentezza tutto sommato angosciante, che mette quasi a disagio, e tutto vi scorre circa allo stesso modo. Compreso il film nel film, che è anche risibile come lungometraggio (un fotografo cerca di catturare la bellezza di una donna e sedurla). Il difetto sta già un pò nel manico (sceneggiatura e regia), prima che nel montaggio, sebbene il film duri un'oretta e mezza soltanto. Film triste, in cui si sorride poco, Burro viaggia a scartamento ridotto, è un elemento originale nella filmografia di Pozzetto ma anche un passo falso. Spiace, ma è meglio vedere l'attore in uno dei suoi tanti ruoli comici, finanche con quella volgarità che qui è bandita. Nello stesso anno esce un altro film italiano con la presenza, più centrale, di una sala cinematografica di paese: Splendor di Ettore Scola, con Troisi e Mastroianni.
Alessio Vacchi

Tra pagina e schermo. HELLRAISER


Usa 1987. Su dvd Storm.
Warning: il seguente pezzo contiene anticipazioni sulla trama e sul finale che possono compromettere la visione a chi non conosce il film ed intende vederlo.

Quando Clive Barker ha esordito alla regia cinematografica girando Hellraiser (trasposizione del suo romanzo The Hellbound Heart) ha motivato tale scelta dichiarando di essere stufo delle pessime riduzioni in celluloide di tanti suoi racconti horror. In effetti, le invenzioni fantastiche e macabre di Hellraiser ricreano sapientemente lo spirito nero della sua narrativa: suggestivo il look dei Cenobiti (Supplizianti nel doppiaggio italiano), a metà strada tra il fetish sadomaso e le creazioni ultraterrene di Lovecraft; e suggestive le torture infernali che infliggono alle loro vittime, in un delirio sanguinario e pesantemente erotico. Non lo spirito, ma la carne è l’interesse di tanta furia devastatrice; una rielaborazione dell’Inferno cristiano, il cui scopo non è punire il peccato ma in certo qual modo esaltarlo, mescolando estremo piacere ed estrema sofferenza. L’influenza estetica che Hellraiser ha avuto sulla cinematografia dell’orrore anni 80/90 è palese, si può giustamente parlare di un classico; ma in cosa si differenzia dal romanzo di Barker?
La storia è fedele, ma si ha l’impressione che l’autore si sia frenato, cercando di offrire al pubblico un prodotto meno complicato delle sue divagazioni letterarie. Del tutto assente l’ironia dissacrante e sottilmente blasfema che permeava il testo originario (l’anticlericalismo barkeriano è una costante dei suoi scritti; in questo film si riduce ad una peraltro affascinante riduzione di immagini sacre a relitti fatiscenti e muti di fronte all’orrore che si scatena); assenti anche i riferimenti esoterici alla fabbricazione del cubo e alla Configurazione del Lamento (la genealogia alchemica verrà approfondita meglio nella serie a fumetti ispirata a film e romanzo ed edita negli anni 90 dalla Play Press). Nel libro (uscito in Italia presso Sonzogno col titolo Schiavi dell’inferno) il destino del cubo è strettamente legato a quello dei suoi custodi umani; tant’è vero che nel finale romanzesco è la protagonista, scampata al massacro, a ricevere l’oneroso incarico di diventarne la riluttante guardiana. Compito cui non può e non sa sottrarsi, goffa e schiacciata dalla vita com’è; un ruolo ben diverso da quello cinematografico, dove Kristy è una ragazza bella, coraggiosa ed emancipata, destinata a sconfiggere il Male con la propria forza interiore. Un’impostazione decisamente più hollywoodiana, insomma; e il finale, col cubo portato via da un’alata creatura demoniaca e destinato a tornare nelle remore lande dell’Oriente per finire tra le mani di qualche altra incauta vittima, ricorda in maniera palese l’analoga sorte del medaglione malefico nella chiusa di Manhattan Baby, horror diretto nel 1982 da Lucio Fulci. Coincidenza? O trattasi di omaggio voluto, dato l’amore dichiarato di Barker per la filmografia blood & gore del cineasta italiano? Ai fans l’ardua sentenza.
Corrado Artale

Memorabilia. SCANDALOSA GILDA


Dopo un "fremente clima di attesa" esce -siamo nel 1985- questo film scatenato e sprezzante del ridicolo, da parte della coppia Guerritore-Lavia, legata anche nella vita, che bisserà l'anno successivo con Sensi. Il mix di erotismo bollente e atmosfere strindberghiane, annunciato in modo intrigante dal flano, si risolve nel film in un sacco di dialoghi pretenziosi e, appunto, teatrali di cui uno dei picchi è "Le tue cosce sono sporche di sperma... ma guarda la mia faccia...". Che siano anche queste, le scene che nessun altro avrebbe osato far fare all'attrice? Quanto alle donne che applaudono, non se ne capisce il perchè, dato che il personaggio femminile non è esattamente una paladina femminista, ma piuttosto è una sciroccata perversa e tra i due protagonisti si crea un gioco al massacro. Tra le cose più felici va comunque ricordato il cartoon inserito nel film, da cui deriva il titolo.
Alessio Vacchi

domenica 15 marzo 2009

In sala. IL CURIOSO CASO DI BENJAMIN BUTTON


Warning: il seguente pezzo contiene anticipazioni sulla trama e sul finale che possono compromettere la visione a chi non conosce il film ed intende vederlo.

Chi scrive spesso è perplesso di fronte ai consensi cinematografici di massa, ma non è per partito preso che redige questo pezzo. E non ha letto il racconto di Fitzgerald. Premesso ciò: il film di cui si tratta prosegue la sua permanenza nelle nostre sale, veleggiando oltre i 10 milioni di euro. Si tratta di un successo un pò scontato, ma pure un pò immeritato.
Il curioso caso... pare uno di quei film che si portino appiccicati appresso l'etichetta di "bello" per alcune ragioni, tra cui l'essere un filmone americano di due ore e quaranta, con un attore famoso, con un plot da un lato bizzarro ma che dall'altro, raccontando l'esistenza di un protagonista, abbraccia quindi un ampio arco temporale, con una fotografia piuttosto raffinata. Si può definire "ben confezionato". Cosa c'entra David Fincher, il regista di Seven, Fight Club, Zodiac? Forse che non fosse il più adatto a dirigerlo? Ma lasciamo stare l'autorialità. Uno dei problemi maggiori è quanto poco riesca a toccare, ad emozionare lo spettatore nonostante quello che racconta. L'empatia con i personaggi, con i loro sentimenti, è alquanto debole. E questo, per un film di qualche ambizione, che parla di vita e di morte, è limitante, è un fallimento. Nemmeno una scena "importante", come quella del padre di Benjamin che finalmente gli si rivela, emerge. Non è che si vuole a tutti i costi un melodramma fiammeggiante, ma nemmeno (come chi scrive) passare la maggior parte del tempo a sforzarsi di concentrarsi ed emozionarsi, e riuscirci a fatica. Perchè succede questo? Anche perchè il film rimane irrigidito formalmente e non si riesce a dimenticare di stare vedendo, appunto, semplicemente un film. Difficile farlo, quando il passo del racconto è tenuto così, in maniera blanda e piattamente dolceamara: c'è un risveglino nella sequenza della battaglia in mare, ma rientra presto, e c'è poi ogni tot il divertente siparietto dell'uomo continuamente colpito da fulmini, tra i pochi scarti estrosi. E non aiuta di certo la musica di Desplat, così scontata nelle sue entrate da far quasi sorridere.
Il film è scritto da Eric Roth, come Forrest Gump, e segnalarlo ha una ragione: Benjamin Button pare voler ripetere un pò la ricetta di quel grande successo, proponendo la parabola di un protagonista maschile-Candido. Il problema è che il personaggio di Benjamin è interessante più che altro a un livello base, in quanto essere umano che vive un ciclo vitale invertito, ma sembra quasi perennemente un ebete. Brad Pitt si limita a stare in scena, col beneficio del dubbio dato dall'aver visto il film doppiato; e una scena come quella in cui rifiuta una notte con Cate Blanchett, non dispone in favore del personaggio. Ma la forrestgumpite è avvertibile anche nella filosofia spicciola che il film cerca di propinare tramite la voce narrante, che riflette il diario di Benjamin: il celebre "La vita è come una scatola di cioccolatini..." diventa qui un più volte ribadito "Non sai mai cosa c'è in serbo per te". E passi; però il discorsetto finale che accompagna il congedarsi di scena dei vari personaggi, "c'è chi fa questo, c'è chi fa quello, e c'è chi fa quell'altro", significa parlare ma non avere niente da dire. Non è l'unica arruffianata che pare pensata per far sentire sveglio lo spettatore, ma una vera ragion d'essere non l'ha: si veda il colibrì che ritorna sul finale, o la arzigogolata sequenza in cui Forrest-Benjamin si siede e attacca a narrare il concatenarsi -"se Tizio...se Caio..."- di tutti gli eventi che hanno portato all'incidente dell'amata Elizabeth.

Non è una catastrofe, è che la scarsezza di anima del film rischia di far essere più severi, e i pregi concreti non sono poi molti. Gli effetti di trucco, premiati con l'Oscar; una pregevole Tilda Swinton, nella parte della compagna di un funzionario, che ha una relazione con Benjamin. Allargando la lente, il film funziona un pò meglio nell'ultimo terzo all'incirca, perchè diventa, per quanto compresso, un pò melodramma sui generis: lei vuole restare con lui anche sapendo del loro scollamento temporale, accettando infine di accudirlo bambino, rincoglionito dall'Alzheimer, e cullandolo tra le braccia appena nato-a un passo dalla morte. Un ultimo appunto: che stress il doppiaggio. Qui sembra uno strato sopra le immagini, e rammenta ad uno spettatore ormai abituato alla lingua originale un motivo della sua abitudine. Nell'attesa di turarsi il naso per Gran Torino e Il nemico pubblico n.1.
Alessio Vacchi

La youtubata. JASON TALKS?

Per promuovere l'ennesimo capitolo delle sue gesta, Jason Voorhees si presenta addirittura a uno show televisivo, condotto da un Arsenio Hall con pettinatura abbastanza anni Ottanta. Ma il presentatore non ottiene molto da Jason, che non è abituato a parlare e sicuramente è più a suo agio quando può uccidere qualche malcapitato, magari che si appresta a fare sesso. Impagabile la stretta di mano finale.
Alessio Vacchi

domenica 8 marzo 2009

Focus on. Chuck Norris: ROMBO DI TUONO


Tit. or.: Missing in Action. Usa 1984. Di Joseph Zito. Su dvd Mgm.
Warning: il seguente pezzo contiene anticipazioni sulla trama e sul finale che possono compromettere la visione a chi non conosce il film ed intende vederlo.

Prodotto dalla Cannon -casa su cui, in questa sede, si ritornerà-, Missing in Action, dal titolo italiano "rinforzato", è un film che sposta il cinema di Chuck Norris verso una direzione più rambizzata (sebbene Rambo 2 sia dell'anno seguente) e per così dire eccessiva, che fa apparire più ingenui i suoi film precedenti. Un uomo (quasi) solo contro decine di altri, con un uso maggiore del più comodo fucile mitragliatore, rispetto al corpo. Inoltre, è una pellicola che affronta quella profonda ferita americana che è la guerra in Vietnam. Ma lo fa in Chuck-style. Recensendo Commando Black Tigers, si era messo in luce un atteggiamento amaro-critico di quel film verso il Vietnam. Passato qualche anno, l'atteggiamento è qui ben più combattivo. Norris-colonnello Braddock è un reduce dal conflitto: il film si apre con lui che ricorda, solo nella sua stanza, l'inferno vietnamita. Ma l'attore non può certo interpretare un reduce qualunque. Il tormento si incanala ben presto in rabbia e voglia di fare, di rivincita: dopo aver sfasciato, con uno scontato calcio, il televisore che trasmette notizie dei soldati dispersi in Vietnam e un cartone animato con un eroico Spiderman, decide di unirsi alla delegazione americana che sta andando nel paese. Solo che Chuck Norris e diplomazia sono due concetti che fanno a pugni.
Infatti, nell'ordine, si rifiuta di stringere la mano al generale vietnamita; crea scandalo all'incontro tra gli stati, in cui lo si accusa; decide di cercarsi le informazioni da solo non fidandosi -a ragione- dei capoccia militari vietnamiti, uscendo dal suo albergo di soppiatto, vestito di nero alla Diabolik, minacciando e poi uccidendo per difesa il generale; fino ad arrivare al finale che ha una nota di sovversività, in cui la verità -Chuck e i soldati trovati- irrompe, letteralmente, a rompere la falsità diplomatica -un generale vietnamita sta appunto dicendo: "Non si hanno notizie di soldati dispersi..."-. Insomma, questi vietnamiti sono un pò delle false carogne, almeno quelli dei piani alti: la povera gente chiede scusa al colonnello di quanto fatto in guerra o lo ringrazia di averla liberata, mentre la classe militare è criminale ed interessata solo a coprire la verità. In un graduato barbuto Chuck riconosce persino un suo aguzzino, che dopo aver riscontrato l'insuccesso di farlo seguire ed uccidere, decide, al solito, che "this is a private matter": combattono brevemente e Chuck può finalmente vendicarsi. L'unica è organizzare da sè una missioncina per liberare qualche compatriota, con l'aiuto di un gozzovigliante vecchio compagno d'armi, a bordo di un aggressivo scafo. E lo sguardo di Braddock quando avvista la boscaglia vietnamita -su cui il film per inciso sta solo nella prima e in quest'ultima parte-, pare quello di un capitano che abbia visto la terra promessa. Qua Rombo di tuono rimane per un pò scontato, per poi farsi più serrato col procedere della toccata e fuga salvatrice.
Oltre a segnalare la presenza di ben due scene di azione in notturna, tra i momenti memorabili del protagonista bisogna rimarcare la scena della contrattazione dello scafo, dove Chuck con la sola espressione dura e una mitragliatrice che si sa scarica riesce ad impaurire l'interlocutore ed ottenere un prezzo di favore, e il suo emergere dall'acqua al rallentatore per smitragliare alcuni bastardoni vietnamiti, che ridono credendo di averlo eliminato. Per le donne in un contesto simile parrebbe non esserci spazio, ma Chuck trova il modo di infilarsi alla velocità della luce nel letto della diplomatica americana, per fornirsi una copertura dall'omicidio del generale appena commesso, concludendo così in modo originale il corteggiamento abbozzato. Un film come questo è come se servisse a reiterare l'esperienza del Vietnam, ma col distacco possibile grazie al cinema, e con la possibilità di tornare sui luoghi stavolta vincendo pienamente, con un eroe a capo del tutto. E quanto al reiterare, ci saranno ben due seguiti. Jean-Claude Van Damme figura tra gli stuntmen.
Alessio Vacchi