domenica 25 aprile 2010

Io c'ero. Festival ed eventi vari. DA SODOMA A HOLLYWOOD 25, Torino, 15-22/4/2010. Pars costruens



Le recensioni più specifiche che seguiranno, sui film visti al festival, non sono positive. Ma non si vorrebbe passare per difficili, criticoni, disfattisti o altro. Per cui, una rapida carrellata su altre visioni più gradite della manifestazione. Nell'omaggio alla regista canadese Patricia Rozema, Ho sentito le sirene cantare (1987) è un film divertente che rivela una commediante simpaticissima, Sheila McCarthy, nella parte della goffa e solitaria segretaria di una gallerista-artista di cui è invaghita. Tra i corti presentati della Rozema, si ritrova la McCarthy in Desperanto, in cui decide di concedersi una vacanza a Montreal, puntando tutto su un'ultima notte di festa in cui si farà decisamente notare, fino a fingersi svenuta e sdoppiarsi. Se la McCarthy è per così dire una bruttina affascinante e dotata di stile, adorabile nelle sue gaffes, Patricia Charbonneau nel buon Cuori nel deserto (1985) è invece una bomba sexy senza tanti "ma": giovane lesbica procace che seduce con pervicacia una insegnante venuta a stare momentaneamente in un ranch, in un film ben fatto, scritto con intelligenza nel trattare i moti dell'animo.
Dzi Croquettes, premio del pubblico come miglior documentario, racconta in modo coinvolgente la storia di un movimento artistico danzante di enorme importanza nella storia culturale brasiliana, un fenomeno di successo che sfidò la censura della giunta militare con i suoi talentuosi uomini iper-conciati da donne, per sconfinare in tournée europee (e conquistarsi l'apprezzamento di vips tra i quali Liza Minnelli, tra gli intervistati).
La proposta culturale del festival è stata di qualità altalenante, ma comunque ricca ed interessante, come e più di prima. Si spera più che altro che la politica, ora, non vi metta becco.
Alessio Vacchi

Nella foto, Sheila McCarthy in Ho sentito le sirene cantare.

Io c'ero. Festival ed eventi vari. DA SODOMA A HOLLYWOOD 25. BANDAGED + BELLE DE NATURE e ECSTASY IN BERLIN 1926


Germania/Usa/Francia 2009.

In seguito ad un atto autolesionistico, una ragazza che vive con la zia ed un padre severo medico, è costretta a letto col viso bendato. Viene chiamata ad assisterla una infermiera "molto" amorevole, mentre il padre attende il momento dello sbendaggio. Una volta che la ragazza torna ad avere un viso, tra lei e l'infermiera esplode definitivamente l'attrazione, destinata a causare, come ovvio, dei problemi.
Uno dei pochi film nuovi visti al festival da chi scrive si è rivelato purtroppo una delusione, rispetto alle aspettative alimentate dal plot e dalle parole di presentazione. "Le parole sono importanti!", direbbe Moretti, ma è anche vero che non è un film ben definibile: thriller? E cosa c'è mai di thriller? La suspance è da cercare col lumicino, fatti salvo magari gli ultimi minuti in cui si tirano le fila. Chirurgico, beh, c'è una sequenza di operazione che ha creato il panico negli spettatori, molto emozionali. E' un film erotico? Insomma, ci prova, ma non ci si facciano idee strane di sadomaschismo o che: l'erotismo è loffio e molto tiepido, si anima un poco di più una volta che la ragazza è sbendata e le due donne possono amoreggiare in modo più libero. E' una storia gotica? L'ambientazione è quella che è, in una villa isolata, ma nn c'è un lavoro particolare di fotografia, ad esempio, che valorizzi o dia atmosfera.
Purtroppo, la noia giunge inesorabile in un film che forse si fida troppo di sè stesso senza avere molto da dire. Si percepisce la voglia di girare in modo raffinato della Beatty, ma tra una lunga sequenza e l'altra, la lentezza e l'algidità la fanno da padrone e durante la visione non si capisce dove si voglia andare a parare, nè se interromperla o sperare e aspettare che qualcosa si smuova. Eppure questo secondo lungometraggio della regista è prodotto nientepopodimenoche da Abel Ferrara: chissà cosa vi avrà scorto. Colpisce, nel ruolo del padre austero e charmant, Hans Piesbergen, col suo volto a metà tra David Bowie e Rocco Siffredi.
Con i corti dell'autrice non va meglio, anzi. Se Belle de Nature non rinuncia alla cifra stilistica della Beatty, la noia, in esso si fa però strada qualche squarcetto interessante. Collocando la protagonista, nuda, in mezzo alla natura "selvaggia", la regista ne valorizza le percezioni sensoriali cercando di rendercele - le gocce di pioggia sulla lingua sono la cosa che funziona meglio - . Il fine non è certo l'onanismo, ma per quanto sul crinale del ridicolo, tra insetti amoreggianti e piante che scudisciano, le pretese artistiche pesano meno rispetto a un lavoro come Ecstasy in Berlin 1926, che metterebbe a dura prova un santo. In un bianco e nero che poi si fa seppiato, come vedessimo una cartolina d'epoca animata e sporcacciona, una fanciulla si inietta qualcosa nella coscia per poi venire "sedotta" e sottoposta a giochi sadomaso-fetish da parte di un'altra. Alla terza tranche di sculacciamento soft, non si capisce cosa trattenga dall'uscire dalla sala - neppure i corpi delle attrici - . Spiace fare gli "uomini della strada", ma non c'è ragione per cui un lavoro simile duri circa 40 interminabili minuti, se non la mancanza di controllo e critica su quel che si fa. Da salvare, comunque, qualche idea visiva, come la ripartizione dell'inquadratura in verticale.
A.V.

Io c'ero. Festival ed eventi vari. DA SODOMA A HOLLYWOOD 25. THE IRON LADIES


Thailandia 2000. Di Youngyooth Thongkonthun. Con Chaicarn Nimpulsawasdi. Su dvd 01.

(Ri)Proposto nella sezione "I 25 film che ci hanno cambiato la vita", si tratta di una pellicola di enorme successo in patria, uscita da noi in sordina solo nel 2005. E' una commedia sportiva che sarebbe abbastanza classica: abbiamo una squadra di pallavolo maschile scalcagnata, che unisce elementi bizzarri ma di talento, che scala le tappe, arrivando in alto, per poi vivere un momento di crisi a cui segue la definitiva consacrazione in campo, contro una squadra avversaria capitanata da un bullo. Ma la peculiarità della squadra degli/delle Iron Ladies è che trattasi di un ensamble di gay, trans, travestiti (guidati da una coach lesbica), con solo un elemento "davvero" maschile.
In mezzo all'entertainment abbastanza svaccato - non è un film fine, anzi è sboccatello - , il film propone il valore della tollerenza della diversità, non compresa ed accettata da alcuni - il capitano bulletto, il padre di un giocatore; mentre la squadra dell'esercito in cui viene reclutato un altro è tutta supergay e i genitori di un altro ancora sono fan entusiasti della squadra - , ma che alla fine si sa imporre e vincere. Anche con esplicitezza (o didascalicità a essere cattivi), come il personaggio del mister maschilista a cui la coach fa un discorso schietto di rimprovero. Il ritmo è spigliato, anche se di sport se ne vede poco, spezzato in gesti di campo, schiacciate poderose, senza che si segua mai del tutto un incontro - un po' più quello finale - . Si ridacchia, ma la consapevole leggerezza non implica automaticamente un giudizio positivo. Perchè il fatto che sia una commedia non assolve automaticamente il fare, di alcuni personaggi, delle checche estremamente macchiettistiche, iper-ammiccanti, personaggi che si rendono ridicoli col loro atteggiarsi, di modo che si ride di loro con gag quali il "drammatico" spezzarsi di un'unghia. Sembrano un po' degli scemetti frivoli, tanto che quando l'etero della squadra sbrocca per la loro poca professionalità, si ha voglia di supportarlo. Anche il fatto che, durante il match finale, la squadra ritrovi la carica soltanto truccandosi, come se essere sè stessi significasse quello, lascia perplessi. A parte le sciocchezze e le colorerie (simpatici i titoli di testa), si fa notare qualche momento surreale -la palla che continua a girare su sè stessa- , à la "Shaolin Soccer". Alla base c'è la storia di una squadra vera: le Iron Ladies hanno vinto il campionato nazionale nel 1996 e se ne vedono delle immagini sui titoli di coda. C'è un sequel del 2003, ma è stato meno filato. Si preferisce non sapere come sia il doppiaggio italiano.
A.V.

Io c'ero. Festival ed eventi vari. DA SODOMA A HOLLYWOOD 25. AND THEN CAME LOLA


Usa 2009. Di Ellen Seidler e Megan Siler. Con Ashleigh Sumner. Su dvd Wolfe Video (regione 1).

Lola deve portare un portfolio di suoi utili scatti alla compagna Casey, che si trova ad un incontro di lavoro che potrebbe essere importante. Deve farlo in tempo, quindi deve correre per San Francisco, passando a ritirare le foto dalla sua ex. Altra insidia, cruciale: Danielle, ex fiamma di Casey (Cathy DeBuono, bellezza mascolina vista pochi giorni prima al festival in quella sorta di anemico telefilm che è "Tremble & Spark"), è la possibile datrice di lavoro con cui sta colloquiando in un bar, quindi... allarme baccaglio.
Prodotto, non a caso, dalla Fast Girl Films, And then came Lola è un film che fin dal titolo si richiama al successo di Tom Tykwer del 1998 con Franka Potente, Lola corre, in cui c'era di mezzo un fidanzato (maschio) da cui correre con un malloppo di soldi. Rispetto al film di riferimento, And then came Lola è definito "parodia" sul programma del festival, il che è vero ma lo si potrebbe anche definire un suo parziale remake, una rielaborazione in chiave di lesbocommedia di quel film. Anche qua, la stessa situazione narrativa è riproposta, rilanciata tre volte, in modi differenti, giocando sulle possibili variazioni del caso e del comportamento delle persone. Anche qua ci sono momenti in cui la fiction lascia il posto all'animazione, rendendo così la narrazione a tratti surreale: viene pure così rifatta la sequenza in cui la protagonista scende di corsa le rampe di scale di casa, con un tizio-ostacolo che la fa cadere.
C'è una certa brillantezza nella scrittura, soprattutto nei dialoghi, il che fa assicurare un po' di divertimento (ad esempio quando Danielle, di origini italiane, viene definita "stallone italiano"). Ma la simpatia non basta per non far boccheggiare il film dopo un po' e la durata percepita è decisamente maggiore dei 70 minuti di durata reale. Non giocano a favore certe scelte da telefilm: estetiche, perchè in molti momenti amorosi ci sono tremendi tagli di luce, molto estetizzanti, sui corpi - per inciso, non c'è praticamente alcun nudo - , e musicali, dato che il film è accompagnato da tanta (un po' troppa) musica pop à la Avril Lavigne. Nè, tutto sommato, il lato serio e con pretese che prende corpo verso la fine. In mezzo alle tre tranches narrative ci sono momenti di pausa, in cui i personaggi dicono allo spettatore - ad una psicologa, nell'universo diegetico - il loro pensiero sul significato della coppia, sull'importanza del sesso, su cosa ci si aspetta dall'altro e sulla fiducia, che è il tema chiave: Lola deve dimostrare alla compagna di poter aver fiducia in lei, e dai e dai alla fine ci riesce. Ma, come accennato, il film ci arriva con stanchezza, un po' come la protagonista.
A.V.

domenica 11 aprile 2010

Incompresi. L'UNICO PAESE AL MONDO



Nel 1994, nasce Forza Italia: Silvio Berlusconi scende in campo in politica per la prima volta. Un gruppo di cineasti, poco persuaso dalla sua propaganda, fiuta il pericolo e si unisce per un cortometraggio politico di venti minuti, composto da nove episodi flash. L'unico paese al mondo, questo instant-movie antiberlusconiano, ha avuto una distribuzione limitatissima, solo nel periodo elettorale e "nelle sale di Moretti e amici", per poi sparire; chi scrive l'ha visto al cinema Massimo di Torino, meritoriamente inserito all'interno della retrospettiva su Mario Martone.
Gli episodi non sono titolati nè firmati - ma il Dizionario dei film italiani stracult ci viene incontro - e sono separati da una schermata rossa (ahi) col titolo del film. In ordine libero: Nanni Moretti compare e si autocita in due episodi, il primo e l'ultimo, che funzionano come brevi aggiornamenti di "suoi" film. Luchetti infatti fa tornare i protagonisti de Il portaborse: Luciano Sandulli (Silvio Orlando) fa un incubo in cui vede il politicastro Cesare Botero (Moretti) che si prepara ad un discorso in cui parlerà di un milione di posti di lavoro e attaccherà i comunisti. Si sveglia e va in bagno agitato, ma una volta chiuso lo specchietto, in pieno stile horror, si ritrova Botero e soci riflessi: "Siamo tornati". Moretti chiude il minifilm in stile Caro diario, lo vediamo ripreso con un camera car, da dietro, come in quel film, mentre gira in Vespa in Francia e spiega che là Berlusconi non avrebbe potuto candidarsi a causa del possesso di reti tv, che là le cose van meglio a causa di un sistema e una borghesia più normali. Dopodichè dice i titoli di coda, in cui elenca in ordine alfabetico tutti quelli che han partecipato al film (Ferzan Ozpetek, non ancora regista, tra gli altri).
Orlando è protagonista per Marco Risi di uno dei segmenti più forti ed attaccabili, in cui impersona un tizio mellifluo che segue un bambino una volta che questi esce da scuola. Quando il bambino, alle strette, gli chiede cosa voglia, lo pseudo-pedofilo lo rassicura, vuole solo dirgli qualcosa di importante per il suo futuro: gli sussurra "Forza Italia..." e poi si allontana imbarazzato, mentre l'altro piange. La tenera età è protagonista di altri due segmenti. Il primo è uno scorcio di vita dello sceneggiatore-regista Stefano Rulli col figlio affetto da problemi psichici, che dieci anni dopo racconterà in Un silenzio particolare. Rulli esprime la convinzione che con un governo targato FI non sarebbe a occuparsi del figlio e che le persone disagiate sarebbero emarginate e vittime di politiche miopi. Nel segmento di Francesca Archibugi vediamo alcuni bimbi che giocano, ma uno di loro non rispetta le regole, distrugge, è arrogante: "In casa mia le cose degli altri sono mie", dice all'incirca. Gli altri due lo manderanno simpaticamente a quel paese, andandosene da soli.
Il campo da calcio è protagonista in due segmenti. In quello di Marco Tullio Giordana, una voce fuori campo esprime con chiarezza i motivi per cui Berlusconi potrebbe non essere uno che rispetti le regole in campo, a causa della concentrazione di molti poteri nelle sue mani, mentre seguiamo veloci passaggi di palla con la macchina da presa sulle gambe dei giocatori. Nell'altro, Antonio Capuano filma un televisore che esce, su ruote, da un istituto per fermarsi al centro di un campo da calcio del tutto vuoto. Si accende e parte un discorso-spot dell'epoca in cui l'attuale premier, visibilmente un po' più giovane, spiega posato la sua discesa in campo in quanto amante della libertà. Ma un pallone da calcio sfonda all'improvviso lo schermo, mentre si ode una ola. Il meno esplicito è Martone, con un blob di vecchie facce della politica in bianco e nero, mentre la voce di Mike Bongiorno da un suo telequiz fa la domanda: "Che cos'è una coalizione?". Mazzacurati filma in piano sequenza un "candidato" sui trenta, ben vestito, che attacca un discorso sguardo in camera, esordiendo con "Io sono un cialtrone", proseguendo con cose più o meno discutibili e chiudendo con "Non riuscirete a fermarci", detto con un sorriso sicuro.
Definito da Marco Giusti "l'oggetto più strano del cinema italiano anni '90", è un'operazione di consapevole, esplicita propaganda, in cui si attacca Berlusconi, si esternano la preoccupazione, i dubbi ed i timori per il suo ingresso in politica e per il futuro dell'Italia in caso di vittoria della sua coalizione. Colpisce, di quest'operazione "fallimentare", la sua notevole attualità, dato che l'uomo con cui se la prende sta dove sta e le questioni che emergono - come il conflitto di interessi - sono del tutto irrisolte. Simpatico e un po' inquietante. Per i fans del premier, un reperto che, nonostante l'esplicitezza di alcuni discorsi, probabilmente li confermerà dell'esistenza dell'Italia che odia sin dai tempi del suo esordio politico. Risulterebbe prodotto dalla Sacher Film morettiana, ma il sito della casa non lo cita.
Alessio Vacchi

domenica 4 aprile 2010

Focus on. Chuck Norris: OMICIDIO INCROCIATO


Tit. or.: The Hitman. Usa 1991. Su dvd Warner (regione 1, in 4:3).
Warning: il seguente pezzo contiene anticipazioni sulla trama e sul finale che possono compromettere la visione a chi non conosce il film ed intende vederlo.

L'agente Garrett, nel corso di un irruzione a un centro di smistamento di droga, viene gravemente ferito, volontariamente, da un collega, Ronny. Tre anni dopo, lo ritroviamo col nome di Grogan, assassino/"bravo" al servizio di un malavitoso di origine italiana, Luganni. Ma non è passato dalla parte del male, è un agente sotto copertura ("far undercover", come recita la tag originale). Per il suo capo le cose non vanno troppo bene, c'è un rivale, Lacombe, e i due gruppi si dan filo da torcere a vicenda. Un gruppo di iraniani cerca di inserirsi con le cattive nel milieu criminale della zona: Grogan cerca di fare da ambasciatore, ma Lacombe non vuole saperne di allearsi con Luganni per fronteggiare questa nuova minaccia. Nel frattempo, Grogan stringe amicizia con un ragazzino di colore vicino di casa e bullato da un coetaneo. Finchè, guarda caso, non si rifà vivo l'uomo che l'aveva quasi ucciso, decisissimo anche lui a prendere il controllo criminale dell'area di Seattle, stringendo alleanze di comodo.
Venti di novità per il cinema del nostro beniamino. Omicidio incrociato è una sorta di gangster-action movie molto violento in cui, prima di tutto, il personaggio di Norris è ambiguo, dark, un po' sfaccettato: in pochi minuti lo vediamo semiucciso, per poi tornare in scena sparando in pancia ad un affarista che stava scocciando il suo nuovo, losco capo. Se nel prologo Norris ha un look "adulto", con una zazzera di capelli un pò lunghi, per tutto il resto del film assume un look inedito e un pò messianico: lungo trench nero e capelli portati scompigliati fino alle spalle. C'è poi la ricerca di atmosfera, in sequenze come quella dell'agguato e controagguato in strada: il buio, le strade umide della città, il fumo - inquadrato insistentemente dietro un campanile - . La tensione va e viene, d'altronde le scene col ragazzino raffreddano volutamente la temperatura. In generale c'è un'attenzione alla scrittura complessiva, non di alto livello, ma che risulta quasi raffinata in confronto alla media dei Norris-movies. Qui il suo personaggio è sì protagonista, ma spesso sembra la pedina di un gioco più grande, in cui agisce sul serio nel momento in cui la faccenda diventa più personale, col ritorno dell'ex collega corrotto che, oltretutto, quasi uccide il ragazzetto. Aaron Norris non sarà una cima, ma perlomeno la sequenza in cui Lacombe si allontana nel boschetto scoprendo prima i cadaveri e poi venendo spaventato dall'iraniano, in una sorta di tunnel degli orrori dentro cui corre spaventatissimo, non è male.
Momento cult che ha dell'incredibile e scena più ilare del film è la lezione che Chuck impartisce al padre razzista - un caso umano sbraitante col riporto - del ragazzo che perseguita Tim: fa il gesto di colpirlo da dietro un vetro e l'altro riceve davvero il cazzottone. Della serie: Chuck può. Altro "grande" momento è l'entrata in scena di Norris per la resa dei conti finale nel capannone: lentamente, col suo vestitone, in mezzo ad un fumo azzurrino, il suo pistolone a doppia canna in una mano e una pistola più normale nell'altra. Significativo che dopo aver liquidato tutti gli scagnozzi a suon di spari, la sfida finale con Ronny sia, al solito, all'arma bianca, a suon di legnate. Ma tra momenti quasi gore nelle sparatorie e una sequenza di tortura verso l'inizio (non ad opera sua), lascia basiti anche il finale: dopo aver lasciato legato ad una sedia appesa nel vuoto Ronny, una bomba piazzata sotto il suo sedere lo fa scoppiare. "God damn', Grogan...! We wanted him alive!", gli fa notare il suo superiore e lui risponde: "...Ain't life a bitch?". Siamo quasi ad un esistenzialismo di crudele ironia. Non troppo rappresentativo, ma uno dei migliori film con l'attore. Carino il tema musicale hip-hop. Secondo Imdb, il discorso che Garrett fa sulla sua infanzia al ragazzino prima di insegnargli rudimenti di autodifesa, raccontando di essere stato anche lui vittima di bullismo, è preso dalla vita vera di Norris.
Alessio Vacchi

Memorabilia. AGENTE 007


Questa volta una serie di flani bondiani, pescati a random temporalmente. Dal secondo film della serie a due Bond con Roger Moore degli anni Ottanta, non si pecca mai di modestia: successi colossali, che nessuno può superare... e ovviamente, l'ultimo in ordine di tempo è il più spettacolare ed il più incredibile. Nonostante (o forse proprio grazie a) la cantante Grace Jones come nemica.
A.V.