domenica 13 giugno 2010

Incompresi. Comici allo sbaraglio. SAREMO FELICI


Italia 1989.

Il fantasma de I vitelloni aleggia inevitabilmente su Saremo felici, che mostra una Cesenatico non solo nella sua veste estiva, ma in quella molto più grigia dei mesi non assolati, in cui i protagonisti trascorrono la loro vita. E' una tipica vita di provincia, col suo fulcro in un bar, per i protagonisti. Checcone gestisce una stazione di servizio e sogna di fare il ballerino in America con Maddalena, ragazza che vorrebbe ma tratta male, quasi con autolesionismo; Mirko (Maurizio Ferrini), nullafacente, corteggia una donna francese di passaggio; Lorenz, spiantato, con una moglie e un figlioletto che sembra non aver sostanze e voglia per curare, ha velleità di cantautore; Caronte lavora nel traghettino tra le due sponde della cittadina e cura nerdisticamente la videoteca di casa. Ognuno ha sue speranze o sogni infondati di successo. L'approssimarsi di una serata-show estiva può essere una occasione per Mirko, Maddalena e Lorenz, ma l'unica cosa che i maschi sapran fare è una plateale lite che manda a monte l'evento. Finale a distanza di un po' di tempo, con alcune cose che paiono ricomposte ed altre che, si lascia intendere, proseguono come prima.

Il presentatore Corrado Tedeschi fa praticamente sè stesso (il suo personaggio si chiama Corrado) impersonando il conduttore dello show, a cui Maddalena cerca di aggrapparsi per agguantare un po' di successo, venendo però trattata con freddezza. I protagonisti sono dei bamboccioni che non si invidia e che Brunetta sicuramente prenderebbe a sberle: sulla quarantina, vivono ancora coi loro genitori. Checcone, per esempio, matura ora la ribellione contro il padre, ex partigiano chiuso nel suo mondo. Ma se gli uomini sono così, alle donne non va meglio: il personaggio di Amanda Sandrelli si deprime andando inutilmente dietro a Mirko, Maddalena come accennato cerca l'uomo giusto per inserirsi, la moglie di Lorenz tira avanti aspettando che il marito torni, si accenna ad un suo inciucio con Caronte ma la sceneggiatura qui sembra monca.
Film.tv.it lo definisce senza mezzi termini "fatto coi piedi e recitato ancora peggio", e scrive che Ferrini è meglio nei panni della signora Coriandoli. Le ultime due cose non sono prive di fondamento, comunque si tratta di un film gentile, non volgare, un po' triste, lievemente noioso, che sul tema trattato (vita piatta in provincia ecc.) non aggiunge niente di particolare. La morale, declamata dal personaggio della Sandrelli, è scontata (la felicità non è per forza in città, si vuole sempre ciò che non si ha...) e chi detesta il cinema italiano di piccolo respiro eviti, ma tutto sommato si può vedere. Maurizio Ferrini, in una delle sue poche sortite su grande schermo, è coautore del soggetto. Belle sia Alessandra Martines pre-Fantaghirò, mamma in bicicletta (è la moglie di Lorenz) che Jo Champa (Maddalena), attrice nel suo periodo felice in Italia. Passato inosservato all'epoca, la sua esistenza è oggi affidata ad una vhs Vivivideo. Lazotti, all'esordio al cinema, ha poi diretto Tutti gli anni, una volta l'anno, altro film corale di amarezze e rendiconti.
A.V.

Incompresi. Comici allo sbaraglio. L'ULTIMO CRODINO


Italia 2009. Di Umberto Spinazzola. Su dvd Dolmen.

Uno, soprannominato Crodino (Ricky Tognazzi), vive una vita un po' al di sopra delle sue possibilità, cercando di mantenere una bella donna (Serena Autieri). L'altro, soprannominato Pes (Enzo Iacchetti), è un operaio divorziato che deve soldi a vari, contrariati colleghi. Insieme aprono una cascinella di prodotti biologici che dura pochissimo, perchè gli animali si ammalano. A Crodino viene una bizzarra ispirazione: trafugare la bara del fresco defunto patron di Mediobanca, Enrico Cuccia, e chiedere un riscatto ai suoi familiari. I due mettono la cassa al sicuro, ma delinquenti non ci si improvvisa e le cose non andranno come vorrebbero.
Aperto dalle immagini della mitica intervista di Stefano Salvi ad un Cuccia sguardo a terra e muto, girato e ambientato nella bassa val di Susa, tra Condove e dintorni - con qualche esterno nel centro di Torino - , il film è la storia di due sfortunati che "ci provano", un po' come La lingua del santo di Mazzacurati a cui è spesso associato, ma l'unico vero risultato che ottengono è creare un evento nella routine della vita di provincia. Più ottimista Crodino, più facile alla demotivazione Pes, i due cercano di fare un salto più grande di loro con un crimine singolare, teoricamente in grande stile. Ma stentano a prendersi sul serio e ancor più ad essere presi sul serio come ricattatori, complici il caso ed errori grossolani. Per incastrarli, giunge "dall'alto" un consulente per le forze dell'ordine, una di quelle figure di oscuri burattinai che si fa intendere stiano dietro le loschezze d'Italia, il quale pronuncia una buona battuta: a Messeri che gli chiede da quanto stia visibilmente male per l'ulcera, risponde "Da Ustica".
Premiato da un prevedibile insuccesso, il film però merita qualche possibilità, almeno in televisione. La regia non ha sempre le idee chiare (ad un certo punto c'è un'impennata di macchina a mano enfatica che stona), ma L'ultimo Crodino ha un ritmo decente, tensione narrativa (il montaggio alternato fra Crodino che cerca di liberarsi da un impiccio e Pes che fugge convinto sia finita, il chiudersi del cerchio coadiuvato dalle intercettazioni - servono commenti?-), fa sorridere e svela un Enzo Iacchetti bravo e credibile come attore semiserio, dall'aria sbattuta e lontano dalle facezie televisive. Tognazzi non è malaccio, ma risulta più "attore". Si rivede volentieri un canuto Marco Messeri nella parte del bonario maresciallo, mentre Dario Vergassola ha il piccolo ruolo del barista, riuscendo comunque a pronunciare la parola "figa".
Questo è il primo film italiano che utilizza il "naming placement", cioè l'utilizzo di un marchio già nel titolo, le cui "o", sul manifesto, sono sostituite da tappi della nota bevanda. Purtroppo la sponsorizzazione non si ferma lì: il soprannome del personaggio di Tognazzi, il sentirlo chiamare continuamente "Crodino" e una didascalia finale che informa che è stato visto al bar a bersi un Crodino, sono un po' imbarazzanti. Iacchetti è rimasto comprensibilmente male per l'insuccesso del film, cui probabilmente teneva per farsi conoscere in una veste diversa, accusando casa produttrice e distributrice di aver fatto poca e cattiva pubblicità, senza riuscire ad avviare il passaparola. Al punto tale da trasformarsi in paladino fuorilegge per difendere il film: "Ho rubato una copia e la proietterò dovunque mi chiamino devolvendo sempre i soldi [...] ai cassaintegrati della zona"*.
Alessio Vacchi

Torino Sette n.1021, 24-30/4/'09.