Italia 1969.
I
quattro del pater noster è diretto da un Ruggero Deodato ancora lontano dalla fama
dovuta ai film estremi/cannibalici: il suo film precedente è un
musicarello con Little Tony, il successivo un cappa&spada sexy.
Il regista ha affermato che fu difficile avere tutti e quattro i
protagonisti, all'inizio del successo, insieme sul set, dati i loro
impegni in tv. Di loro è Oreste Lionello quello che aveva già il
maggior numero di apparizioni sul grande schermo. La distribuzione
del film fu bloccata e rimandata causa sciopero dell'Istituto Luce:
il film uscì qualche mese dopo, un po' allo sbaraglio, incassando in
modo medio. Dopodiché, I quattro del pater noster (o Il
temerario, finto nuovo titolo di una riedizione post-fantozziana,
su manifesti col solo Villaggio), nonostante parte del cast, diventa
il classico titolo da cinefili strampalati, oggi recuperabile in un
vhsrip scattoso, con un paio di saltini.
Due
compari che viaggiano assieme in carrozza (Villaggio-Toffolo) si
appropriano di una cassa piena di monete d'oro, sottraendola a dei
banditi che l'hanno appena rapinata da una diligenza. Si unisce a
loro un predicatore (Lionello), cercano di restituirle, ma vengono
presi per i malfattori e arrestati. In cella incontrano un peone
rivoluzionario, che si rivelerà inadeguato e un po' infido
(Montesano), col quale fuggono, ma uno di loro si prende il malloppo.
I banditi di nero vestiti, dei cattivi non così temibili, li
ritrovano e impongono loro di ritrovare e restituire il malloppo. Si
ritrovano ed escogitano un piano: taroccare la roulette del casinò
dei banditi (sic), affinché la gente si rivolti loro contro. Ma la
conclusione sarà un accordo, in concomitanza con una rissona (poteva
mancare?).
Non
che sia il primo western umoristico italiano girato nel pieno del
genere: i Brutos e Ric e Gian avevano già dato. Questa è una
commedia western ed anche smaccata parodia: più volte il film finge
di essere un western serio, o gioca con i moduli del genere, per poi
sfociare in burla. L'inizio, emblematico, con i primi piani dei volti
duri di Villaggio e Toffolo, che paiono in procinto di sfidarsi, ma
una vera sparatoria sarà appannaggio, poco dopo, di altri
personaggi; la cattura dei quattro sospetti banditi, che diventa una
breve rissa; il duello fra Toffolo e Montesano, con tanto “rumore”
Leoniano perché poi ad uno la pistola si inceppi e all'altro
scivoli.
Oreste
Lionello è poco riconoscibile, non fosse per la voce; quella di
Villaggio è un po' stridula e l'attore propone già, rapidamente,
gag che diventeranno punti fermi fantozziani - il grido in un angolo
dopo essersi fatto male, il masticare di nascosto - ; Toffolo, che
porta in giro la sua facciotta da ingenuo tranquillo ed è vestito di
lunghe pelli, è leggermente stucchevole. Il migliore, quello che
mostra più vena comica, è Montesano. Inaspettata una gag
anacronistica, con Lionello che fa la cronaca stile radio (o tv) di
uno scontro che sta coinvolgendo i suoi compagni, e che noi non
vediamo, ad un gruppetto di popolani. Mentre spesso si dovrebbe
ridere per piani capitomboli (compreso uno stunt notevole). Il tutto
è passabile, a patto che non si chieda di rovesciarsi dalle risa.
La
colonna sonora di Luis Bacalov vanta un tema serio, bello, sin troppo
per il tipo di film (e anche da lì nasce il rovesciamento comico), e
un altro che accompagna le gesta comiche dei protagonisti (serrate,
nella prima parte), con piglio demodé. C'è tempo anche per una
canzoncina (cantata da Villaggio e Toffolo). Si segnala un passaggio
nella neve che, pur senza essere probabilmente una citazione, non può
non far venire in mente allo spettatore che conosce lo spaghetti
western Il grande Silenzio. Tra gli sceneggiatori figura
Maurizio Costanzo (all'epoca autore di programmi di varietà come,
quell'anno, È
domenica, ma senza impegno, con Villaggio e Lionello).
Qui un lungo e bel trailer, nonostante i colori appassiti, narrato da Villaggio: occhio al finale.
Alessio Vacchi