domenica 27 ottobre 2013

Incompresi. LE FINTE BIONDE

Italia 1989. Su dvd Medusa.

Prodotto da Achille Manzotti e tratto dal romanzo omonimo di Enrico Vanzina pubblicato pochi anni prima, Le finte bionde è uno dei capitoli meno fortunati della filmografia vanziniana degli anni '80, sebbene, Marco Giusti docet, dopo il flop nelle sale (non entrò neppure nei primi 100 titoli della stagione) il film ebbe un recupero in tv come “assoluto cult del mondo romano”; più avanti aggiunge, giustamente, “assolutamente per romani, forse”*.
A poca distanza da Via Montenapoleone e in vena di insistere sulla loro inclinazione di osservatori socioculturali (l'essere tali è argomento principe di chi li sostiene) di un'umanità che va tra i burinazzi e le classi medioalte o chi vorrebbe rientrarvi, i fratelli chiamano nel cast alcune protagoniste della coeva trasmissione tv di successo La tv delle ragazze: Cinzia Leone (in gran spolvero), Alessandra Casella, Francesca Reggiani. Sono tra le “finte bionde” che il film ambisce di raccontare: una categoria composta da borghesi romane coi soldi (e relativi compagni), che conducono una vita di livello ma sotto sono delle cafone, bionde perché, come illustrato all'inizio in una sequenza dove il personaggio della Leone se ne rende conto e va a farsi la tinta, sono loro a dominare. Con l'accompagnamento di una voice over (di Oreste Lionello, che presumibilmente recita passi del libro), il film prende e lascia le sue coppie di personaggi procedendo per sequenze tematiche, a costituire una specie di affresco di vita e quadro umano. Gli ambienti in cui i personaggi si muovono e mangiano (la trattoria di Mattioli, quando non si pasteggia a casa con ospiti), il problema di dove andare in vacanza e di trovare un appartamento adeguato, le spese... Questioni simili a quelli che si possono trovare in un romanzo dell'800 ambientato nell'alta borghesia, qui illustrate in uno spaccato sociale a matita grossa di fine anni '80. Gli oggetti, anche: una sequenza (in cui compare il caratterista Renzo Ozzano) mostra la moda del telefono, ancora con fili, in macchina e un'altra la “videomania” del possedere un numero spropositato di televisori e girare e conservare filmini di ogni cosa. I problemi sentimentali-sessuali restano a margine, relegati a qualche scenetta con personaggi lampo o alle sequenze con la litigiosa coppia Casella-Massimo Wertmuller. I protagonisti parlano di futilità, si cercano e si incontrano ma al contempo si criticano l'un l'altro. Stile e orizzonti di vita sembrano creare loro soprattutto stress.
Alcune notazioni e battute sono carine (esempio, Mattioli che, preoccupato, dice alla debole moglie di non svenire, ché potrebbe perdere l'abbronzatura; o la coda di inservienti stranieri a fare commissioni per i padroni), ma resta una pellicola che si guarda con un vago senso di fastidio. Per via della botta di romanità cui si è accennato e da cui si può essere un po' respinti, e per i personaggi estroversi e pesanti (Antonello Fassari...) messi in scena con occhio ammiccante e interpretati con spavalda sicurezza, di modo che si capisce come si cerchi la risata ma paradossalmente viene frenata. Anche se nell'ultima parte i Vanzina sembrano voler compensare e dare il fatto loro ai personaggi, il cui viaggio di ritorno da una vacanza collettiva in Brasile (che non vediamo) risulta in un'odissea causa maltempo, al punto che sono costretti a dormire in stazione, scambiati per poveri immigrati.
Guido Nicheli, avvocato sposato con Paola Quattrini, è tra i più bravi (suo un rimarchevole “Merviglius!”). Ci sono anche Sergio Vastano, Licia Colò e in ruoli minori Isaac George, Claudia Gerini, un capelluto Pino Insegno, che ha una sequenza in cui cerca di concludere con la sua ganza. Antonio e Marcello de I fatti vostri compaiono nei panni di loro stessi e firmano la colonna sonora, compresa la title track dei titoli di coda, introdotti dalla presentazione di interpreti e personaggi, ognuno soprannominato con la storpiatura di un titolo di film. 
A.V.

*"Dizionario dei film italiani stracult", Sperling & Kupfer, 1999, pag. 288.

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