lunedì 7 dicembre 2015

Festival ed eventi vari. 33 TFF. TREASURE

Tit. or.: Comoara. Romania/Francia 2015. Di Corneliu Porumboiu. 

Costi, tranquillo padre di famiglia, riceve una proposta dal vicino Adrian, in difficoltà economiche: in cambio di un prestito di denaro, se Costi lo aiuterà a cercare, nel giardino della vecchia casa dei nonni, un tesoro nascosto prima dell'arrivo del regime, gli darà metà del valore di quanto eventualmente trovato. Con l'aiuto di un “esperto” di metal detector, con cui Adrian presto battibeccherà per la scarsità di rendimento, si mettono al lavoro e in qualche modo verranno ripagati.
Per raccontare questo, Porumboiu, che scrive e dirige, avrebbe potuto (magari...) premere un po' sul pedale della commedia e tenere in maggiore considerazione lo spettatore. Invece, sceglie la strada della massima quietezza, sotto la quale c'è un realismo-minimalismo lievissimamente venato di quella stralunatezza in cui possono presentarsi le cose della vita. Quietezza anche recitativa, con attori estremamente controllati (a costo di risultare in questo modo insapori, come Toma Cuzin-Costi; meno Adrian Purcarescu-Adrian, il cui personaggio ha un carattere più difficile) e visivo-cromatica, con fotografia tranquilla e inquadrature lunghe. Purtroppo, la quietezza intenzionale si concretizza in piattezza.
Comoara è francamente troppo tenue, una visione in cui ci si può ampiamente distrarre senza perdersi niente di particolare, soprattutto nell'interminabile parte centrale della ricerca del “tesoro”, senza contare il rischio noia a livelli di guardia. Certo, si può -e si è fatto: chi scrive è in assoluta minoranza e il regista, che non è uno sconosciuto per i cinefili, ha pure vinto il premio “A certain talent” a Cannes- scavare (sorry) nel film per coglierne quel che ci sarebbe sotto la totale limpidezza di quanto si vede sullo schermo; ma, per esempio, le allusioni al passato di un paese che torna a galla o il fatto che Costi legga Robin Hood al figlio sono agganci e scavi (sorry again) teorici che non bastano a compensare l'esperienza spettatoriale, come non lo è il possibile collegamento con quel che fa Kaurismaki, né gli avari sorrisi.
Non sono comunque male gli ultimi minuti, in cui il frutto della ricerca si risolve da parte del protagonista in un gesto “politico” (alla Robin Hood...), e comprensivi della cover dei Laibach di Life is life, che quando parte, scuotendo il film in modo autoironico, fa pensare che un pizzico più di quella grinta la si sarebbe vista volentieri trasfusa nel film fino lì. Su un film così esposto, trasparente, fragile nei suoi difetti, magari voluti ma che risultano tali, non è comunque il caso di infierire.
A.V.

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