lunedì 5 dicembre 2016

Io c'ero. Festival ed eventi vari. 34 TORINO FILM FESTIVAL. GODLESS

Tit. or. Bezbog. Bulgaria/Danimarca/Francia 2016. Di Ralitza Petrova. Con Irena Ivanova.

Gana, badante in una cittadina della profonda Bulgaria, sottrae agli anziani presso cui lavora i documenti, che il compagno (con cui non c'è -più- sesso, il piacere che si danno è dato dalla morfina) rivende. La polizia li conosce e copre questo traffico, anche quando lui “esagera” nello spaventare un vecchietto che scopre il gioco. L'avvicinamento a Yoan, paziente che denuncia il furto e viene conseguentemente messo sotto accusa e minacciato, segna per Gana una possibile riappropriazione del sentimento dell'empatia, ma è un vicolo cieco.
Progetto nato all’interno di TorinoFilmLab e premiato col Pardo d’oro a Locarno, Godless è scritto e diretto da una regista al primo lungometraggio. Ed è un film rigoroso, indurito e congelato come la protagonista, la cui espressività e i cui sentimenti sono celati, sembrano lontani, come in attesa che lo strato che li protegge si sciolga.
In un film nettamente “autoriale” come questo sembrerebbe forzato parlare di elementi di genere, eppure lo scheletro del film è riconoscibilmente noir: perché abbiamo un personaggio che opera e vive in un sotto-mondo scarso di senso umano, e ne è complice, fino a quando non dice dei “no”, per un risveglio della coscienza che la porta a cercare di uscirne e a quel punto di questo sistema diventerà vittima.
Se la sceneggiatura presenta ellissi decise (e gli stacchi tra le sequenze sono talvolta bruschi), la scelta più forte che la Petrova opera è quella più evidente, che condiziona tutta la visione: il desueto formato 4:3. Scelta espressiva forte, che corrisponde, amplificandolo, al soffocante che caratterizza lo squallido mondo, per povertà di livello di vita e morale, di Gana, quasi sempre in scena, anche se non sempre in campo, sebbene la Petrova le affidi pure dei primi piani lunghi. Il nostro sguardo restringe questo mondo a un modesto rettangolo; la regia però non gioca in modo spiccato, tantomeno abusa, del fuori campo (ed è curiosa un'inquadratura all’interno di un auto che, tagliando fuori conducente e passeggero al fianco, somiglia a un 16:9 errato).
A conti fatti, la Petrova sembra suggerire che una giustizia, lì e ora, non è contemplabile. Tristemente e francamente, la regista traccia un continuum esplicito tra la tradizione di “giustizia” durante il regime comunista e la pseudo-giustizia operata nel film, un sistema che va dal mancato rispetto della persona alla punizione che copre e permette di far continuare uno status quo sporco (vedi il dialogo con l’anziano, o le parole degli agenti in auto nel pre-finale). Però il finale dice di un'altra forma di giustizia, quella del fato (o di un'entità superiore), in modo crudele e beffardo, e riallacciandosi all’avvicinamento alla fede che la protagonista stava compiendo, un modo alla sua portata di provare ad elevarsi, ad accedere a qualcos’altro.
Se nella profonda Romania in cui è ambientato il bel Dogs, altro film presentato nella sezione TorinoFilmLab quest’anno, la polizia “sta a guardare”, impotente e inefficace, una situazione delinquenziale di lunga data, salvo interventi estremi dettati dalla coscienza di un singolo, qui come detto il riavvicinamento di un personaggio a una morale di base c'è, ma il ritratto delle forze dell’ordine è negativo a dir poco. Anche se il mostrare questo potere come depravato anche sessualmente, tra orge e choking, è superfluo come tassello in più.
Un esordio dal passo lento, accidioso; un film compiuto.
A.V.

Il trailer: https://www.youtube.com/watch?v=QnxgAdPDYZ0

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