Jane ama fotografare case
isolate. Non ha mai fatto pace coi vaghi ricordi della casa in cui ha
vissuto da bambina e in cui era stata testimone (solo?) di un
massacro. Ha visioni improvvise di bimbe e le capita di trovare
oggetti: momenti che la portano a un incidente dopo il quale perde
momentaneamente la memoria. Con marito e figlia, si trasferisce
allora proprio nella casa dell'infanzia, non lontano da uno zio
ritrovato, dove le visioni si intensificheranno fino a consentirle di
fare i conti definitivamente col passato lontano e scoprire
chiaramente cosa era accaduto circa trent'anni prima.
Di Ed Glass-Donnelly si
era visto anni fa al TFF Small Town Murder Songs,
un crime-movie intenzionalmente lasso. Questo Lavender,
visto nella sezione “After hours”, è
un film che, volendo cercare di etichettarlo, è più pienamente di
genere, e in modo più classico (nel mentre, il regista ha diretto il
sequel di The Last Exorcism,
uscito anche in Italia), ma confrontando (a memoria) i due film, era
meglio quando questi benedetti generi li prendeva più alla larga e
in modo più personale.
L'approccio
visivo del regista è all'insegna dell'ovattato. Si susseguono con
una certa placidità visioni a vantaggio della protagonista e dello
spettatore, comprese bambine che si fanno correre dietro (ma anche
uomini, in un passaggio, non da buttare, nel quale la protagonista si
intrappola in un labirinto di balle di fieno).
Il
prologo sembra avere qualcosa di promettente, nel darci quadri della
scena del crimine staticizzati ed esplorati tridimensionalmente dalla
camera, ma la conferma che ci si è sbagliati arriva quando
Glass-Donnelly (anche co-sceneggiatore) decide di mostrarci la
dinamica del fatto di sangue, il chi e il come. Introdotta in modo
pedestre da un personaggio (quello dello psichiatra a cui Jane viene
affidata dopo l'incidente) che si discolpa indicando il vero
responsabile, è una sequenza cui O'Donnelly dà spessore nella
modalità evidentemente prediletta: quella del rallentare il tutto,
fino a tornare ad effetti simili a quelli dell'apertura. Funziona
così così, e il ridicolo è dietro l'angolo, prima del momento
risolutivo di tutto quanto, che è rapido e poteva essere sfruttato
meglio.
Se
i boo scares sono
soft, l'uso della musica, pesante e onnipresente fino a diventare
noioso, dà un deciso contributo negativo all'insieme poco
convincente. Il risultato complessivo è spuntato, bolso, con
tensione e brividi quantomeno discontinui.
Gli
interpeti, piuttosto medi, non aiutano ma non è neppure colpa loro
se il film è molle: un horror drammatico, quasi per signore, che la
dignità di horror la raggiunge ma è molto probabile che scontenti
l'appassionato. E conferma in chi scrive i dubbi su un atteggiamento
diffuso tra i seguaci dei generi: cosa è peggio, cosa vale più la
pena di vedere tra un film che costeggia un genere pur non sentendo
il bisogno di metterci mani e piedi, e un film come questo che è di
genere ma poco riuscito?
A.V.Il trailer: https://www.youtube.com/watch?v=-_ltn43Bx9A
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