giovedì 7 dicembre 2017

Io c'ero. Festival ed eventi vari. 35 TORINO FILM FESTIVAL. TITO E GLI ALIENI

Italia 2017. 
  
Valerio Mastandrea è un non molto probabile professore (senza nome: è chiamato il Professore, o “zio”, a seconda) che vive praticamente isolato in mezzo al deserto del Nevada. Tra il container che gli fa da appartamento e l'antro in cui sperimenta, sta trascinando da anni una ricerca per conto del governo degli Stati Uniti, al fine di comunicare con altre forme di vita nello spazio. Crucciato dal non essere più riuscito a captare nuovamente un segnale dalla moglie morta tempo prima, il Professore è abituato giusto agli incontri con la giovane assistente Stella, finché gli capitano tra le gambe due nipoti, fratello minore (Tito) e sorella maggiore, figli dello zio defunto che gliene ha annunciato l'arrivo con un video. La vita del Professore si fa più disordinata, ora che deve badare ai due: senza contare che Tito si impiccia nei suoi esperimenti, perché ha la fissa del parlare col padre – e usa farlo attraverso una fotografia su uno smartphone – , e sul lavoro del Professore incombe un ultimatum dei militari (che sono “da cinema”, di ghiaccio, non malleabili).
Scritto e diretto da Paola Randi (il cui lungo precedente è Into Paradiso: non visto, ma a leggerne la trama si trovano delle analogie, a cominciare da un protagonista scienziato), Tito e gli alieni è passato in “Festa mobile” ed è stato accolto come una piccola sorpresa. Qualche motivo c'è.
I sostenitori della perenne “rinascita” italica qui potrebbero trovare un poco di pane per i loro denti, in questo film con un uso superiore al solito, per un lavoro italiano, di effetti speciali. Anche se il colore è quello di una commedia, anzi quasi una commedia per ragazzi, oltre che “con”. Mastandrea non è protagonista assoluto, ci mette un poco ad entrare in scena e un altro pezzo ad aprire realmente bocca e il film si dedica abbastanza pure ai due ragazzini, invero non sempre simpatici perché la napoletanità non equivale necessariamente a risata, e le cui uscite dialettali non sempre sono comprensibili (ma non per questioni culturali... ma di dizione e audio: signori del cinema italiano, qualche volta non si capiscono le battute dei vostri/nostri film. Al TFF lo si è notato anche in Blue Kids). L'attore romano fa quello che gli riesce meglio: un personaggio di uomo insicuro, goffo, spalmando la sua naturale carica di simpatia in diversi momenti che strappano il sorriso. E il film va avanti così, tra un po' di humour, un po' di tenerezza e di malinconia, condito dalla componente di vitalità giovane e regionalistica dei due nipoti (ma anche Mastandrea sfoggia un accentello napoletano, con risultati accettabili) e puntellandosi con un deciso uso di (belle) canzoni, compreso un Chet Baker. Ma tutte queste componenti insieme, mettendoci anche gli spettacolari panorami naturali – e non: l'antro segreto del professore, con il robot “Linda”... – , lasciano un che di amaro in bocca, perché si bolla presto il film come “carino” ma con carte limitate da giocare, che sono quelle già messe sul piatto, e poco da dire.
Nell'ultima parte si fa più movimentato, seguendo in parallelo i personaggi che si muovono verso l'Area 51 (sic), e poi ecco che ti frega: perché quando si giunge all'accarezzato, rimandato, finora fallimentare esperimento, tocca corde tali, andando a chiudere il tema del comunicare con chi non c'è più, che è arduo non emozionarsi. Lì diventa più chiaro che questo filmetto ha le sue ambizioni non solo a livello di confezione (con una fotografia leggermente accesa) e di flirt con qualche “genere”, ma perché parla di cose ultime in un modo efficace, che sarebbe ipocrita non riconoscere (e non saranno stati casuali i soffiamenti di naso in sala negli ultimi minuti). Si spinge tanto in questa direzione che poi si sente di correggere con una nuova nota umoristica. Certo, il tutto richiede una certa sospensione di incredulità, ma un piccolo segno lo lascia.
A.V. 

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