giovedì 7 dicembre 2017

Festival ed eventi vari. 35 TORINO FILM FESTIVAL. REVENGE

Francia 2017. Al cinema dal 6 settembre.

Warning: il seguente pezzo può contenere anticipazioni su snodi e finale del film, tali da comprometterne la visione a chi ancora non lo conosce.
Jen si trova nel bell'appartamento dell'amante. È molto carina, provocante, veste succinta ma non per questo si concede a tutti. Si presentano due amici dell'uomo, ceffi non da piena fiducia, perché i maschi hanno intenzione di andare a caccia, sui loro veicoli, nei pressi del Grand Canyon in cui si trovano. La ragazza fa quel che sembra saper fare, intrattenendo e stuzzicando i tre con una danza al limite del rapporto sessuale, mozzafiato. Il giorno seguente uno degli “amici” vuole soddisfare il desiderio acceso, e forza la ragazza a un rapporto – il terzo uomo è un ciccione che si limita a non difenderla. Quando Richard, l'amante, torna, la sua volontà si rivela quella di mettere a tacere tutto, per evitare ogni grana. A costo di eliminare Jen. Così però si crea una grana ulteriore, perché lei non muore. La caccia degli uomini cambierà obiettivo, ma la fanciulla, passo passo e con buona pace della frustrazione degli altri, ha intenzione di ribaltare i ruoli di cacciatori e preda.
Protagonista Matilda Lutz già vista (fingiamo) ne L'estate addosso e scritto e diretto da una donna, Revenge è uno dei film che più si sono segnalati nella sezione “After Hours” e che più ha fatto “prendere bene”, come si suol dire, gli spettatori in vena di qualcosa di forte. Coralie Fargeat sfoggia un approccio “cool” a una storia che è all'incirca quella di un classico rape & revenge. Il film è una caramella per lo sguardo, inclusi gli stessi titoli, sparati a caratteri enormi a riempire lo schermo. Ma a parte questo, non è tanto il “cosa” a rendere il film riuscito, bensì un “come” in cui c'è di più. Perché a meno di non fare i ragionieri della sceneggiatura anche qui, e accettando l'andare sopra le righe e l'implausibilità di snodi come la sopravvivenza di una protagonista che dovrebbe decisamente essere morta, quel che si vede è un esordio nel lungo con una padronanza registica piena, a conti fatti clamorosa, sia per quanto riguarda la messa in quadro, in panoramico (esempi pescabili: quella luce riflessa nello specchietto da lontano, o Richard seduto sul sofà, momentaneamente e per poco da solo), che nella suspance e l'azione connaturate a una storia essenziale e selvaggia. Si diletta con un occhio di riguardo per il corporale (vedi l'insistenza sulle ferite, come nel lungo passaggio di lei che si cauterizza e riprende nella grotta – meno riuscito, subito dopo, il delirio che la vede passare da un incubo all'altro – ) e il repulsivo (una mela marcia, il particolare di bocca masticante), ma su questo comunque si tornerà fra poco.
Film di una donna, su una donna che si difende e vendica di alcuni uomini, nelle parole della regista vuole “simbolizzare la mutazione di un certo modo di rappresentare la donna al cinema”, agganciandosi a una tendenza in corso e, fortunatamente visto il risultato, con un vestito di genere molto robusto. Jen “troieggia”, ma per un tempo limitato; tempo che un uomo non rispetta, l'onda lunga della sua eccitazione richiede di essere soddisfatta. Perché adesso no? E perché io no?, chiede il violentatore. Quello che invece sembra il maschio alpha ma rassicurante, si rivela presto il più bastardo e freddo di tutti, in un modo quasi caricaturale (le reazioni, a muso e pugni duri, alle titubanze del “responsabile”), perché tutto va coperto e al gabbio non ci si vuole andare, punto. Mentre tra i due compari, di cui lo spettatore diffida da subito, lo stupratore prende presto paura, non vorrebbe partecipare alla “ricerca” e ha rimorso, mentre l'altro, meno rilevato, fa una fine da film dell'orrore. Essendo tutto già abbastanza “femminista”, comunque, quel “Le donne non devono opporre resistenza!” che è l'ultima cosa a uscire di bocca al personaggio dell'amante suona superfluo.
I personaggi fanno un giro completo, da fighetti a ferini – la rinascita di lei a “eroina” passa anche per un marchio sulla pelle, che però, con riuscita ironia, è quello casuale di un'aquila su una lattina di birra – e, per quanto riguarda la coppia iniziale, da vestiti con cura a nudi o quasi. E il cerchio si va a chiudere dove tutto è cominciato, tra salotto e corridoi di un appartamento chic, che va a lordarsi di sangue. Ecco, Revenge è un film sanguinoso, prima che violento – la violenza sessuale è appena mostrata, quello che conta è come ci si arriva, con le frasi melliflue maschili – . Dai corpi il sangue scorre copioso, e c'è quel passaggio del tizio che si estrae il vetro che è deliberatamente, divertitamente sadico, prima della seria resa dei conti dove sul sangue persino si scivola. Cazzuto, anzi: figo.
A.V.



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