giovedì 7 dicembre 2017

Io c'ero. Festival ed eventi vari. 35 TORINO FILM FESTIVAL. HARPOON

Tit. or. Arpón. Argentina/Venezuela 2017. Di Tom Espinoza.

Arguello, uomo sui 50, fa il preside e ha un pallino: controllare che non ci sia nulla di pericoloso negli zaini degli studenti. Cata, ragazzina che si ribella ai suoi controlli, viene sospettata di aver utilizzato una siringa ritrovata a scuola, e a ragione: con essa, si inietta (e inietta alle compagne che vogliono) una sostanza oleosa nelle labbra per renderle più evidenti. In seguito a un rapido ricovero, Cata dovrebbe essere riportata a casa. Si offre di farlo Arguello, ma i genitori di lei non si trovano. Adulto e ragazzina, prima ai ferri corti, si trovano quindi a condividere più tempo del previsto, in compagnia anche della prostituta-amante di lui, Mica. Ma a un tratto le due non si trovano più. L'uomo va nel panico, e si mette a cercarle estremamente determinato: la sua situazione a scuola è già molto precaria e la ragazzina era sotto la sua responsabilità.
Esordio nel lungometraggio proposto in concorso, Harpoon si presenta con due componenti stilistiche, estetiche fondanti. Una fotografia resa pallida, nella quale i neri più intensi si fanno grigi, e una macchina da presa che nel formato panoramico privilegia il seguire i personaggi da vicino (non vicinissimo) e i primi piani – efficace, in tal senso, il passaggio in cui il preside mette alle strette Cata e compagne – , talora muovendosi rapida tra un volto e l'altro, come in certi confronti a due.
Protagonista è un uomo che si autodefinisce “stanco”, il cui destino segnato è dover lasciare il suo lavoro, e intanto comunque sbaglia ogni mossa: quelle professionali ed educative, perché la sua fissazione di controllore, spinto dall'intento di “pulire” un po' la sua scuola, è ormai malvista e da lui gestita non molto bene quanto a reazioni, e anche quella che, peccando di superficialità, gli fa poi perdere di vista la studentessa.
La visione dei giovani non è buonista: tra loro e gli adulti c'è un muro comunicativo che fra il preside e Cata, a metà film, sembra felicemente rivelarsi meno invalicabile di quanto sembrasse – in macchina, finalmente lei si apre, inizia effettivamente a parlare, a recriminare, a confessarsi sul peso di sentirsi inadeguate a un'immagine ideale, quella che porta i like, e anche a ridere – , poi questo si rivela solo una parentesi. Gli insegnanti li considerano come un grande gruppo chiuso, i cui componenti si intendono tra di loro e comunicano scambiandosi video. In effetti anche noi non siamo quasi mai messi a parte di quel che si dicono i ragazzini e le ragazzine che incrociamo. E che filmano tutto, con gli smartphone realisticamente messi davanti a loro di fronte a ogni accadimento ritenuto degno di testimonianza. “Fumano, scopano...!”, si lamenta il preside di fronte a un ispettore esterno, e i professori riuniti parlano del loro essere ribelli senza causa, ribelli sì ma per cosa? Nel finale comunque c'è una luce di speranza, col discorso discutibile ma ben espresso di una studentessa pasionaria.
Film drammatico che sembra virare al thriller (la ragazza che sparisce, la sua ricerca che passa pericolosamente per un pappa...), con repentini accessi di violenza, conta su di un protagonista, Germán de Silva, molto bravo e naturale; ma sono bravi tutti, e tutte, compresa l'impetuosa collega che lo difende a denti stretti finché può (Ana Celentano), e la “puta”. Per gli haters della messaggistica da cellulare al cinema: qui sono utilizzati un paio di volte, ma non hanno un ruolo significativo.
A.V. 

 

Nessun commento: